Cosa c’entrano l’indie rock, uno dei più stimati producer di musica elettronica, un chitarrista indie di Nashville e atmosfere psichedeliche alla Pink Floyd?
C’era una volta la folktronica, termine mai troppo amato dagli artisti ma che negli anni zero ha provato a descrivere un punto di incontro tra le atmosfere minimali delle chitarre acustiche e beat. Quella parola sembra tornare in mente ascoltando “41 Longfield Street Late ’80s”, album d’esordio del duo inedito formato da Kieran Hebden - alias Four Tet - e William Tyler, che scivola tra feedback, elettronica, psichedelia e ambient music chitarristica.
Da William Tyler a Four Tet
William Tyler è uno dei chitarristi più particolari del panorama americano degli ultimi anni: radici nell’indie, con le esperienze in Silver Jews e Lambchop, per poi trovare una voce (musicale, s’intende) personale che unisce radici country sperimentazione (post)moderna, che mescola melodie e derive astratte, droni e field recordings, creando una sorta di “cosmic Americana”. Un percorso riassunto da “Time Indefinite”, uscito solo qualche mese fa, dove trasformava la chitarra in uno strumento narrativo e atmosferico, muovendosi tra folk, psichedelia e minimalismo. È forse quest’ultimo il punto di contatto tra i due: il minimalismo, assieme ad un gusto eclettico. Kieran Hebden è cresciuto nell’ambiente londinese, passando dal post-rock dei Fridge al suo alias più famoso, Four Tet: inizialmente rielaborava digitalmente strumenti acustici, folk e jazz, poi si è spostato sempre più verso una sua idea di elettronica organica, costruendo una delle carriere più influenti degli ultimi decenni, riassunta da “Three”, uscito lo scorso anno. Ma da sempre Hebden ha ampliato il proprio raggio d’azione pubblicando sotto vari nomi e in vari campi, mostrando una passione musicale onnivora che va dall’elettronica da dancefloor ai cantautori, dal jazz alla psichedelia. Ogni volta che cambia pelle resta però riconoscibile: un’idea di musica come collage eterogeneo ma dove ogni suono può dialogare con un altro se posto nel contesto giusto e diventare un'insieme nuovo e unico.
L’incontro
I due avevano amici comuni e hanno iniziato a scambiarsi idee durante la pandemia, pubblicando poi un paio di anni fa un EP centrato su una rielaborazione folktronica del classico folk-rock “Darkness, darkness” di Jesse Colin Young. E anche questo album si apre con una rielaborazione di un brano classico, “If I Had a Boat” di di Lyle Lovett, che diventa un’esplorazione tra chitarra, feedback ed effetti sonori. I due raccontano che questo album nasce dal desiderio comune di rielaborare le musiche ascoltate da ragazzi – dall’Americana anni ’80 fino al rock chitarristico di David Grissom, una passione del padre di Hebden – trasformandole in materia per nuove avventure sonore.
Il risultato è un viaggio di 40 minuti che passa dall’Americana rielaborata di Lyle Lovett alla chitarra campionata e trasformata in beat di “Spider Ballad”, il brano più vicino a Four Tet, fino alle atmosfere psichedeliche alla Pink Floyd di “Secret City”.
Ambient chitarristico, elettronica discreta, feedback improvvisi: un disco che è al tempo stesso nostalgico e contemporaneo, un lavoro suggestivo e rilassante, ma stratificato e complesso. Sicuramente non la prova migliore di Hebden - che sembra mettersi da parte, a creare la cornice sonora più che i dettagli dell'immagine, affidati a Tyler, ma comunque l’ennesima dimostrazione di come stia sempre un passo avanti o di lato rispetto a ogni definizione e genere.