I Cure hanno fatto le cose in grande, ancora una volta. Dopo “Songs of a Lost World”, album di ritorno dopo 15 anni di silenzio discografico, e dopo averne pubblicato una versione live e una strumentale, arriva ora “Remixes of a Lost World”, l’operazione più ambiziosa della serie. Non un semplice remix album, ma un progetto triplo in cui ogni canzone dell’album originale è stata rielaborata tre volte, per un totale di oltre 20 versioni diverse. È la quarta incarnazione dello stesso materiale – e la più radicale.
Remix come riscrittura emotiva
Per chi conosce la storia dei Cure, il flirt con la music dance, con l'elettronica e in particolare con la pratica dei remix non sono una novità. Già nel 1990 con “Mixed Up”, e poi con “Torn Down” nel 2018, Robert Smith aveva creato degli album interi, non solo dei remix buoni per riempire un lato B di un singolo. Ma questa volta l’ambizione è diversa: qui non si tratta solo di remixare, ma di costruire una nuova versione di “Songs of a Lost World” – anzi, tre nuove “Songs of a Lost World”, una per ciascuno dei tre CD. Un gioco di specchi, tra decostruzione e omaggio.
Nel grande universo dei remix, i Cure si collocano a metà strada tra la sofisticazione elettronica dei remix dei Depeche Mode – basti pensare ai remix di “Playing the Angel” o “Spirit” – e la spettacolarità un po’ kitsch dei remix dance EDM degli U2, che ne hanno fatti moltissimi e quasi sempre dimenticabili quando non proprio brutti.Qui si tende decisamente più verso la prima opzione: nella maggior parte dei casi, i produttori coinvolti mantengono un rispetto formale per le versioni originali, lavorando più sullo spazio sonoro e sull’atmosfera che sul ritmo o sulla struttura. Non è un caso che ci sia gente come Four Tet, autore di uno splendido remix di “Alone”, Mogwai, Daniel Avery, The Twilight Sad, Paul Oakenfold, Chino Moreno (Deftones), Trentemøller.
I Mogwai prendono “Endsong” e ne fanno un crescendo strumentale e visionario, così come il “Cinematic remix” di Paul Oakenfold che apre la raccolta ha toni quasi più cupi e drammatici dell’originale. Il secondo CD è il più debole perché tutte le versioni spostano le canzoni in una dimensione più pop/allegra (almeno ritmicamente) che un po’ finisce per tradire l’originale. Ma ci si riprende nel terzo CD, che contiene alcuni dei nomi e delle operazioni più interessanti: Chino Moreno, 65daysofstatic, i già citati Mogwai. Ma soprattutto uno dei momenti più emozionanti dell’intero progetto arriva dall’Italia, con il remix di “Drone/NoDrone” firmato dai JoyCut. È una reinterpretazione profonda, rispettosa e straniante, in pieno spirito Cure, che oscilla tra ambient e industrial alla Nine Inch Nails.
Un archivio emotivo in tre dischi
“Remixes of a Lost World” è, nel suo complesso, un monumento alla fedeltà e al rinnovamento. Ogni remix apre un portale, un’altra possibile versione del mondo oscuro di queste canzoni: un archivio emozionale, una stratificazione sonora, un esercizio di rispetto e amore collettivo per una delle grandi band di questi decenni. Non tutti i momenti sono all’altezza – come è inevitabile in 2 ore e mezza di musica – ma nel complesso l’opera si regge su un’idea forte: quella che la musica, quando ha un centro emotivo profondo, può essere riscritta infinite volte senza perdere il proprio centro. E che, in fondo, “Songs of a Lost World” non è un disco, ma un ecosistema musicale.