Il suono di Niccolò Fabi

Tra cantautorato, post-rock ed elettronica, un album disarmante e per certi versi sorprendente

Recensione del 20 mag 2025 a cura di Gianni Sibilla

Voto 8/10

Registrare un disco ritirandosi in una casa isolata, spesso in mezzo alla natura, è una delle mitologie più forti della musica d’autore. Da “The Basement Tapes”/“Music from the Big Pink” di Dylan/The Band a “For Emma, Forever Ago” di Bon Iver, a quello che hanno fatto i CCCP/CSI in diverse fasi della loro carriera. L’idea è sempre la stessa: allontanarsi dal rumore per trovare un suono, un’ispirazione diversa dalla routine che spesso ci schiaccia.
Niccolò Fabi (qui la nosttra intervista), che ha sempre fatto del silenzio e della riflessione una parte centrale della sua estetica, ha seguito questa strada per “Libertà negli occhi”, nuovo capitolo discografico, uscito per ora solo in formato fisico - sulle piattaforme dal 13 giugno. Arriva dopo il live orchestrale “Meno per meno”, e che invece di arricchire il suono torna a ridurre, un po’ come aveva fatto in “Una somma di piccole cose”, anch’esso inciso in una casa di campagna, ma in solitudine. Questa volta Fabi ha scelto la montagna, e un gruppo di amici fidati: i cantautori Roberto Angelini e  Alberto Bianco e il batterista Filippo Cornaglia, con cui condivide il palco da quasi dieci anni, e con Emma Nolde, con cui ha collaborato recentemente al suo (bellissimo) album.

Un laboratorio sonoro

Basta ascoltare l’inizio di “Alba”, che per quello che mi riguarda è una delle canzoni italiane dell’anno: un inizio elettronico, un crescendo di chitarre e suoni filtrati, una sola frase che diventa un mantra: “Io sto nella pausa che c’è tra il capire e il cambiare”, che è anche la filosofia di questo album.
Il risultato è un disco che mette al centro la ricerca sonora. Dove “Tradizione e tradimento” apriva una porta, qui Fabi la attraversa con convinzione. L’elettronica è presente, ma sempre in funzione narrativa. C’è il post rock, c’è un’idea di ambient music non nel senso di Brian Eno, ma di canzoni che nascono da un ambiente preciso, lavorando sulla profondità del suono. “Libertà negli occhi” è un laboratorio domestico, un disco intimo che però non è affatto “piccolo”: un album che si costruisce attraverso un tessuto sonoro tanto sottile quanto fatto di fili forti, come l’intreccio di chitarre e ritmiche che sentiamo in “Chi mi conosce meglio di me” e “L’amore capita”, o le tastiere e i suoni elettronici che aprono “Custodi del fuoco”.

Tradizione, ma anche mutazione

In “Tradizione e tradimento” ci si chiedeva “come cambiare senza perdere se stessi”: “Libertà negli occhi” trova una risposta allo stesso tempo più semplice e più complessa, cambiando alcuni elementi fondamentali della grammatica sonora. Cambiando gli strumenti, mutando la grammatica. Gli arpeggi di chitarra si intrecciano a loop e delay. La voce è delicata e forte allo stesso tempo, come lo sguardo su ciò che ci circonda, fatto di osservazioni su ciò che ci circonda che pongono più domande che soluzioni. Come sempre, con Fabi, un disco che chiede di essere ascoltato, con pazienza e con attenzione.

Un album di resistenza gentile

Il titolo sembra una dichiarazione politica, ma è in realtà — come sempre per Fabi — una riflessione esistenziale. “Libertà negli occhi” è un disco che parla della necessità di restare vigili, umani, capaci di empatia. Anche quando il mondo sembra spingere nella direzione opposta. È un album di resistenza gentile. Un disco creato in un rifugio di montagna e che suona come un rifugio, ma che non scappa dalla realtà.
Con “Libertà negli occhi” Niccolò Fabi firma uno dei dischi italiani più belli di questo 2025, proprio perché diverso da tutto. Va bene Sanremo, va bene la musica che fa grandi numeri – è parte del gioco. Ma è un gioco che ha bisogno di voci e suoni come questi, di proposte “altre”. Di spazi musicali tra il capire e il cambiare, appunto.

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