Brandi & Elton: quando la collaborazione non è un featuring

La Carlile riporta sulle scene Elton John; in “Who Believes in Angels” c’è lo zampino di Andrew Watt

Recensione del 04 apr 2025 a cura di Gianni Sibilla

Voto 7.5/10

Mai fidarsi degli artisti, soprattutto quando dicono di voler lasciare le scene. Quelli che mantengono la promessa sono pochi – e per certi versi va bene così.
Elton John si è imbarcato in un tour d’addio lungo cinque anni, interrotto solo dalla pandemia: oltre 300 concerti terminati nel 2023. Neanche due anni ed eccolo di nuovo qua.

Il motivo è Brandi Carlile, una delle cantautrici più brave e stimate degli ultimi anni, una songwriter’s songwriter, per dirla all’americana. Portata in palmo di mano tanto dai Pearl Jam quanto da Joni Mitchell – il ritorno sulle scene della Lady of the Canyon è in parte opera sua, che l’ha accompagnata e protetta in questi anni.
ma c’è soprattutto che Brandi Carlile ha fatto dischi meravigliosi di suo, come “In These Silent Days” del 2022, uno stupendo omaggio alla musica del Laurel Canyon e al suono classico di Los Angeles. Anche questo “Who Believes in Angels” è un omaggio a quel suono, a quella scena e a quel mondo, sin dalla stupenda apertura di “The Rose of Laura Nyro”: un’intro strumentale di due minuti e una dedica alla cantautrice, paragonata a Virginia Woolf: “Like Virginia to the lighthouse / See the songbirds in their cages / The rose of Laura Nyro / Shed its petals on the pages” – con citazione della sua canzone “Eli’s Comin’” (e un credito tra gli autori del brano)

Una superband per una collaborazione che funziona

E il risultato è notevole, anche grazie al dream team: c’è Bernie Taupin, ovviamente, ci sonoChad Smith (Red Hot Chili Peppers), Pino Palladino (Nine Inch Nails, Gary Numan e David Gilmour) e Josh Klinghoffer (Pearl Jam, Beck), assieme al deus ex machina Andrew Watt, che con Elton aveva già lavorato in passato ma che nel frattempo è diventato il produttore rock (e non solo) più richiesto, quello in grado di garantire agli artisti classici di suonare come se stessi, dai Rolling Stones ai Pearl Jam.

Così “Who Believes in Angels” è un disco che è un altro tributo alla musica californiana classica, a partire dal titolo, che gioca con la parola “Angeli”, simbolo della speranza ma anche un richiamo alla Città degli Angeli: canzone che si apre con un piano molto classico, che richiama l’Elton John degli anni ’70, quello di “Tumbleweed Connection” e “Madman Across the Water”, e anche quello di “Songs from the West Coast”, il ritorno sul luogo negli anni 2000, dopo gli anni passati nel pop.
Per dire, c’è il piano rock ’n’ roll di “Little Richards’ Bible”, ci sono le chitarre arpeggiate alla Byrds di “Swing for the Fences”, quelle “twang” di “You Without Me”, il bozzetto acustico di “Someone to Belong To”, cantato praticamente solo da Brandi Carlile. Le due voci si sostengono e si miscelano benissimo e non si ha quasi mai la sensazione che il divo Elton voglia prendersi i riflettori. Suona davvero come un disco collaborativo, non come un featuring programmato per il marketing.

Nostalgia e ritorno

Nostalgia e ritorno sono forme di racconto che funzionano sempre. Carlile ha riportato in attività Elton John e pure sul palco: “Who Believes in Angels” è stato presentato con un concerto a Londra la scorsa settimana. Ma “Who Believes in Angels” è soprattutto il alla musica inedita di Elton John, che ha pubblicato tanto, ma soprattutto raccolte, ristampe e rielaborazioni, come le “Lockdown Sessions” del 2021 in cui già compariva Watt. Bisogna tornare a “Wonderful Crazy Night” del 2016 e soprattutto a “The Union”, il disco del 2010 con Leon Russell. In mezzo raccolte, ristampe, progetti. “Non volevo fare un album come gli altri 38”, ha raccontato Elton John. Non so se sia questa la chiave, perché è musica non nuovissima e riconoscibile.
Un album che non dice nulla di nuovo, guarda al passato ma lo fa benissimo e con una coppia, quella sì, nuova e soprattutto affiatatissima.

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