Una ciotola di riso e pesce a cui si aggiungono diversi ingredienti, un piatto di origine hawaiana diventato popolarissimo anche in Italia. C’è chi lo mangia mischiando tutto come un’insalata, mentre teoricamente gli ingredienti andrebbero presi separatamente per preservare il gusto originale. Angelina Mango, in “Poké melodrama” fa entrambe le cose: passa da un ingrediente/genere musicale all’altro, spesso li unisce e li mescola fino a farli diventare una cosa sola, in alcune canzoni invece li usa “in purezza”. Lo si capisce fin dalla prima canzone di questa prima prova sulla lunga distanza della cantante, “Gioielli di famiglia” inizia chitarra e voce, si apre come una canzone classica, poi parte con barre rappate poi torna ad una struttura classica, con archi e cori. Subito dopo arriva “Melodrama” che inizia decisamente come un brano urban e poi si trasforma in un reggaeton.
“Poke melodrama” arriva dopo un percorso già molto articolato, sia discograficamente - il primo EP, “Monolocale” è del 2020, più “Voglia di vivere” dell’anno scorso - sia sui media e sul palco: a 23 anni ed è in pista da ben prima dell’“Amici” 2023 - che è stato cruciale per portarla poi a Sanremo (e quindi ad Eurovision).
Identità etereogeneità e melodramma
L’identità artistica di Angelina Mango è, per sua stessa ammissione, l’eterogeneità: nelle 14 canzoni dell’album - che vanno da “Che t’o dico a fa’” dell’anno scorso, passando ovviamente per “La noia” - c’è quasi ogni genere possibile: la canzone classica, quella acustica, il rap e i featuring, l’elettronica, il reggaeton, l’r n b, che cita il primo Tiziano Ferro. Angelina Mango riesce a frequentare tutti questi generi con una naturalezza notevole, la stessa che le fa tenere il palco con il carisma di una performer di grande esperienza, come abbiamo visto più volte in TV. Così come è notevole il modo in cui mette assieme featuring diversi non banali: Marco Mengoni (compagno di scuderia) e Bresh, Dani Faiv e Villabanks: avrebbe potuto chiamare chiunque, invece ha scelto quelli che funzionavano per le canzoni.
In questo poke musicale a colpire sono soprattutto i brani più diretti e semplici: “Uguale a me”, il duetto con Marco Mengoni, una ballata molto classica e molto mengoniana con qualche coloritura elettronica; la sequenza “Diamoci una tregua”- “Edmund e Lucy”: la prima con una sola chitarra acustica e l’intervento di Bresh, con cantautorato e rap che si uniscono, anche rimanendo ben distinti. E soprattutto la seconda, piano e voce e poco altro, racconto familiare scritto con il fratello e cantato quasi con la voce spezzata.
L’altro elemento di questo disco è anche quello nel titolo: il melodramma, il racconto di storie ed emozioni ricco di contrasti e di eccessi, già ben rappresentato da “Che t’o dico a fa (“Sembra una pazzia ma è la vita mia”) da “La noia" e ripreso dalla title-track (“Voglio una vita melodrama/Una vita da gitana/Dopo sbaglia, prima impara” e poi ancora “Melodrama, meno drama”. Così si parla di traumi e di crush, di amori e del giudizio degli altri (“cup of tea”), con diversi riferimenti alle storie familiari (a partire dall’iniziale “I gioielli di famiglia”). Il padre, citato in diverse canzoni: peccato non sia presente la toccante cover de “La rondine” cantata a Sanremo, ma è comprensibile: avrebbe sviato l’attenzione.
Un album, oltre le canzoni
“Poke Melodramma” è una produzione importante: Angelina Mango co-firma i brani, lavorando con autori e produttori come Madame. Dardust, Edwyn Roberts, Alessandro La Cava, Edwyn Roberts, Shune, Andry the Hitmaker, Okgiorgio, Zef, Strage e Cripo. C’è comunque qualche leggerezza di scrittura, come nell'apertura di "Smile", con il verso "Un giorno incontrerò Dio e con il sorriso in bocca gli dirò che nonostante tutto sto da Dio”, un calembour un po’ banale, subito dimenticato grazie ad un altro verso disarmante sulla sua storia (“Un bambina di sei anni con il sorriso gigante mi viene incontro e mi dice “lo sai che anche mio padre sta nel cielo come il tuo?”). Non convince “Una bella canzone”, ballata classica con la produzione di okgiorgio ma con qualche stereotipo di troppo nella descrizione dell’amore.
“Poké melodrama” comunque conferma l’idea che oggi alle piattaforme e all’industria servono le canzoni pubblicate in serie e di frequente, ma anche che gli album rimangono ancora fondamentali per definire l’identità artistica, per fotografarla in un determinato momento. Soprattutto agli inizi di carriera.
Può piacere o meno questa musica, si può essere della sua generazione o meno - e quindi ci si può o meno riconoscere nei suoi racconti - ma è difficile essere indifferenti a queste canzoni. Anche se non vi piace, non è il vostro genere, non potete riconoscere l’unicità nel panorama nazionale di una cantante che ha già una personalità musicale molto forte, una riconoscibilità immediata: non assomiglia a niente altro di quello che si pubblica in Italia.
Un album che è poke con molti ingredienti, forse troppi: in futuro Angelina Mango potrà (dovrà?) fare delle scelte, trasformare la sua musica in piatto con meno sapori, ma più forti e ancora più definiti. Intanto “Poke melodrama” è un lavoro solido, che conferma tutto quello che di buono abbiamo visto e sentito finora, che la vittoria a Sanremo è strameritata, ma anche che Angelina Mango è molto di più di "Amici" e Sanremo.