"I sobered up, I swore off that stuff/Forever this time (...) So, cover me up and know you're enough to use me for good", canta Jason Isbell in "Cover me up", canzone di apertura di "Southeastern". L'esatto opposto del rock egoriferito: espone le sue debolezze, racconta di come è uscito dalla dipendenza dall'alcolismo, di come si è salvato grazie alle persone che gli sono state attorno.
Isbell, nei dieci anni dall'uscita di quel disco, è diventato tra i più amati e sicuramente il più credibile interprete recente della tradizione di cantautorato rock - Tom Petty, Bruce Springsteen e Neil Young. Ma rimane unico per tanti motivi, tra cui questo approccio molto diretto e molto poco epico.
Oggi questo disco viene celebrato da una ristampa espansa - a buona ragione, perché quell'album non ha cambiato solo la traiettoria della sua carriera, ma rimane un gioiello di classic rock.
La storia di Isbell sembra uscita da una delle sue canzoni, anzi è spesso materia di canzoni: nato da genitori adolescenti (a cui dedicò “Children of children” in “Something more than free”, il disco successivo), si buttò nella musica fin da bambino per scappare alle tensioni famigliari. Enfant prodige, poco più che 20enne venne arruolato come chitarrista nei Drive-By Truckers, finendo per scrivere poco dopo la title track di “Decoration day” nel 2003. In quel periodo però iniziarono i problemi di alcolismo, che costrinsero il gruppo a cacciarlo nel 2007. L'inizio della carriera solista - ha inciso tre dischi prima di “Southeastern” fu per questo molto complicata.
Nei giorni scorsi Isbell ha ricordato su Instagram il momento esatto in cui ha capito la svolta della carriera: "Ricordo che dieci anni fa stavo nel parcheggio di un club di St. Louis e mi chiedevo da dove diavolo venissero tutte quelle persone, e poi mi colpì: ha funzionato. Per molte ragioni diverse, alcune al di fuori del mio controllo, avevamo un pubblico che ci avrebbe sostenuto".
Come succede spesso, Isbell si sottovaluta: la sua capacità di scrittura, il saper raccontare storie umane in maniera unica ma all'interno di una tradizione ben precisa: questo ha reso grande questo album e quelli successivi. Non ne ha sbagliato uno, compreso l'ultimo "Weatherwanes", o quello ancora prima, “Georgia blue”, una raccolta di canzoni della Georgia (R.E.M., Black Crowes, Ray Charles), realizzato dopo una promessa su Twitter sulle elezioni americane vinte da Biden.
Rispetto a questi album e a quelli incisi con la sua band, i 400 Unit, è un disco un po' meno rock e un po' più cantautorale, ma a dieci anni conserva intatta la sua freschezza. È, banale ma vero, fuori dal tempo: potrebbe essere stato inciso 50 anni fa, come 30 anni fa, come l'altro ieri.
Questa ristampa gli rende giustiza: non solo per i demo del secondo CD, ma soprattutto per il live del terzo, con un'esecuzione completa dell'album a fine 2022, inframezzata da aneddoti - sempre con lo stesso understatement: la più bella è quella du "Travelling alone", nata "dalla ripetizione di una stronzata che diventa una canzone" e in parte copia "Hello in there" di John Prine (con cui si è scusato con una torta di cioccolato).
Avercene, di John Isbell: l'unica cosa da aggiungere è che un giorno bisognerebbe vederlo in italia. Sarebbe un concerto rock imperdibile.