Tra i (tanti) meriti di Brian Eno c’è anche quello di aver fatto da mentore a nuove generazioni di musicisti che hanno o stanno ridefinendo la musica elettronica. Il riferimento è ovviamente a Fred Again.., con cui ha appena pubblicato “Secret life”. Ma prima ancora della nuova star dell’elettronica c’è stato Jon Hopkins. E c’è ancora: il musicista ha preso una traiettoria tutta sua, segnata della fusione tra ambient, psichedelia, piano minimale ed elettronica “glitch”, costruendosi un suono unico.
Un suono che ha avuto il suo punto di svolta in “Immunity”, pubblicato 10 anni fa, e celebrato da una nuova ristampa, con l’album rimasterizzato e una raccolta di remix e versioni alternative. Per ora è sulle piattaforme, mentre la versione fisica arriverà in autunno.
Dalle collaborazioni con Eno e i Coldplay a "Immunity"
L’album arrivò dopo una collaborazione con Eno, per l’album “Small Craft on a Milk Sea” (2010), ma prima ancora il mentore lo aveva coinvolto nella produzione di “Viva la vida or death and all his friends”, per cui co-firmò ben due brani. In mezzo ci fu anche “Diamond mine”, un album di “field recordings” trasformati in canzoni assieme al cantautore King Cresote.
Con “Immunity” Hopkins si è giocato tutti i crediti e la credibilità accumulata negli anni precedenti, con produzioni, collaborazioni, colonne sonore e con tre album di discreta ma non eccezionale rilevanza. Un lavoro durato due anni, una scommessa vinta: “Sono passato da suonare in posti da 500 persone a posti da 5000 persone, sono finito in un vortice che mi ha dato la libertà di seguire ogni strada creativa che mi venisse in mente”.
Libertà creativa
Questa libertà creativa c’è già tutta qua dentro, con una musica che deriva dall’ambient e dall’IDM: il suono di “Open signal”, un riff costruito in 4 mesi di lavoro su un sintetizzatore Korg del ’79, è diventato il marchio di fabbrica di Hopkins, così come le progressioni incalzanti che poi si risolvono e si dissolvono in momenti riflessivi e minimali, come il piano minimale di “Abandon windows” o i droni di “Sun harmonics”, su cui entrano tocchi ambient in cui si riconosce la mano del padre putativo Brian Eno.
Un modello che Hopkins ha perfezionato ulteriormente in “Singularity”, uscito 5 anni dopo. Un modello poi abbandonato per “Music for Psychedelic therapy” di 2 anni fa: quello sì davvero ambient e figlio diretto di Eno. Come Rockol scrisse di “Singularity”, “Questa non è musica da ballare, è un luogo in cui perdersi”: nel titolo abbiamo scritto “Elettronica”, ma è musica molto più complessa e, allo stesso tempo, molto più semplice.
“Immunity”, in questa nuova versione, è un po’ meno compresso e un po’ più dinamico dell’originale. Ma non ha perso freschezza e unicità: potrebbe essere uscito ieri, e suonerebbe comunque unico e diverso da tutte la musica che c’è in giro. Un ascolto e una (ri)scoperta obbligatoria.