A circa un anno di distanza dal precedente album Ben Harper torna con un nuovo disco e lo fa cambiando completamente le regole stilistiche del gioco. Se “Bloodline Maintenance” aveva un suono strutturato, da band, il nuovo “Wide Open Light” è un album in solitudine e acustico.
Il cantautore torna così all’essenza delle cose, toglie tutta la strumentazione tipica del rock (arricchita anche dai fiati come nel precedente episodio), stacca le spine e si ripropone con la sua chitarra acustica, la sua voce e pochi altri strumenti per una manciata di canzoni che riportano l’ascoltatore più vicino al folk.
Nelle undici tracce di “Wide Open Light” oltre alla chitarra acustica appare qualche linea di pianoforte, una spruzzata di basso e la chitarra in un’occasione diventa slide elettrica. Arricchisce qualche coro e l’ospite amico Jack Johnson che duetta con Ben nel primo singolo “Yard Sale”.
Il resto è sostanza, nessun altro elemento che distragga dall’intimità di queste canzoni in cui emergono le doti interpretative e soprattutto vocali di Ben che conferma anche di essere a suo agio come chitarrista acustico.
“Wide Open Light”, quasi in maniera ciclica, si apre e si chiude con due tracce strumentali (rispettivamente “Heart and Crown” e “Thank You Pat Brayer”). In mezzo brani scarni, intimi, quasi sussurrati.
Alcune di queste composizioni risalgono, come tempo di scrittura, al passato e hanno origini differenti. La già citata “Heart and Crown” era stata scritta e registrata per il suo album "Call It What It Is" (2016) e nuovamente reinterpretata nell’occasione. “Masterpiece” invece è stata scritta (unica traccia originale) per l’album di cover "The Devil You Know," di Rickie Lee Jones del 2012, mentre “One More Change” è stata inclusa nell’album "We Get By," (2019) di Mavis Staples. Altri brani mai usciti su disco hanno avuto già un’esecuzione live, come “Wide Open Light” suonata per la prima volta in assoluto durante il concerto di Imola del 22 luglio 2012.
Il nuovo album ci ricorda un Harper molto intenso, concreto e scarno che tuttavia riesce a convincere puntando sulle esecuzioni e le atmosfere che con “Wide Open Light” riesce a costruire e trasmettere all’ascoltatore. È un album quasi notturno, che non tracima mai nella tristezza ma lambisce le coste dell’essenzialità e della passione.
Ancora una volta Ben Harper dimostra che le canzoni possono superare il suono , che l’essenzialità è meglio del superfluo se il superfluo è puro orpello (cosa peraltro che non appartiene allo stile del cantautore californiano).
Non è un disco memorabile o imprescindibile nella discografia dell’artista americano ma resta sempre un piacere ascoltarlo lasciandosi avvolgere dalla voce e chitarra di Harper. Da godere anche ad occhi chiusi e se volete accompagnati da un bicchiere di buon Bourbon.