Le macchine del tempo, come sapete, esistono. Sono registrazioni, audio o video, che riportano in vita i morti, ce li restituiscono com’erano in un ‘allora’ che può essere di poche settimane fa o, come in questo caso, diversi decenni indietro. E la macchina del tempo che ci ha restituito le prime registrazioni conosciute di Lou Reed e John Cale assieme, in uno studio newyorkese nel 1965, abbandonate nell’archivio di Reed e restituite alla conoscenza dal lavoro che stanno facendo, minuziosamente, Don Fleming e Jason Stern su indicazioni di Laurie Anderson, mettendo mano al poderoso ‘conservatorio’ dell’artista americano.
Lewis Allan Reed aveva ventitré anni, altrettanti il gallese Cale, e Reed aveva già scritto alcuni dei brani che diventeranno, di li a poco, monumentali opere dei Velvet Underground. Le possiamo ascoltare, voci e chitarra, scarne, ruvide, semplicissime, in queste leggendarie registrazioni, che non sono belle ma sono avvincenti, perché ci riportano a un tempo in cui Reed pensava di poter essere e ancora non era, in cui scriveva e cantava perché solo quello gli sembrava importante, ma non aveva ancora coscienza del dove, del come, del quanto.
Vogliamo dire, insomma, che le registrazioni che si aprono con il giovane Reed che dice “Words and music by Lou Reed” di quel 1965 non hanno nulla a che vedere con quello che le canzoni diventeranno con i Velvet Underground, sono i loro scheletri, sono l’essenza ma mancano del contesto sonoro e emotivo che le ha fatte diventare, appunto, monumentali. E questa assenza di contesto le rende strane, particolari, contrastanti. La leggerezza sonora di ‘Heroin’, il country folk di ‘Pale Blue Eyes’ o di una versione di ‘Waiting for my man’, Reed che sembra Dylan mentre canta ‘Men of good fortune’, sono fotografie in bianco e nero, leggermente sfocate, di quello che poi a colori acquisterà magnificenza e senso.
Ma sono vere, magnifiche, luminose, geniali e, perfettamente imperfette, tanto da commuovere. E ci fanno capire come il ventitreenne Reed sapesse già benissimo cosa voleva dire, fare e essere. “Words and Music 1965” è un affare per superappassionati, che troveranno soddisfazione in dieci demo che sono le fondamenta dell’opera intera, dieci istantanee di un ragazzo e di un suo amico che cinquantasette anni fa sognava di diventare Lou Reed.