Nei suoi 25 anni di carriera solista Robbie Williams ha interpretato alla perfezione il ruolo della popstar autoironica e sbruffona. Un maestro nel dissolvere il confine il prendersi sul serio con canzoni epiche e il sarcasmo sul suo ruolo: basterebbe una meta-canzone come "Strong" a spiegare tutt: "And early morning when I wake up/I look like Kiss but without the make-up/And that's a good line to take it to the bridge": se pensi che sono forte, ti sbagli, eccome se ti sbagli.
Così a 25 anni da "Life Thru A Lens”, primo disco solista dopo l'uscita dai Take That - al tempo fu un trauma collettivo, in Inghilterra - eccolo qua, ad autocelebrarsi a modo suo. Da un lato fa una cosa abbastanza "normale" nel pop e nel rock: un album di riletture orchestrali. Dall'altro lato si autotrasforma in una statua, e che statua... Insomma, la tentazione è sempre quella di prenderlo sul serio, pensare il peggio, poi ti viene da perdonargli qualsiasi cosa.
Un greatest hits particolare
Ci sono due modi di prendere "XXV": da un lato è un semplice greatest hits con inediti: 4 canzoni nuove, tutte le hits e i singoli (ovviamente manca "Party like a russian", di questi tempi...). Dall'altro come un'operazione un po' scontata, di quelle che vediamo spesso nelle carriere degli artisti quando sono a corto di idee.
Sul primo versante c'è da dire che il repertorio di Robbie Williams è davvero enorme, e questo album lo dimostra: 25 canzoni per due ore potrebbero essere troppe, ma c'è poco o nulla di superfluo - torna persino Kylie Minogue in "Kids".
I pezzi più deboli sono inevitabilmente i 4 inediti, anche questi orchestrali, ma trascurabili: "Lost" è una riflessione sui momenti bui della carriera con un ritmo un po' già sentito, e lo stesso discorso vale per "More than this" e "The world & mother". Un po' più interessante "Disco simphony", dal titolo autoesplicativo, con citazioni di Bee Gees & co.
Un ritorno al classic pop
Sul secondo versante c'è da dire che le nuove versioni non aggiungono e non tolgono granché agli originali. Robbie aveva già giocato con il classic pop (il suo "Swing when you're winning" rimane un piccolo gioiello di un genere poi troppo frequentato dai colleghi). Ma l'aggiunta degli archi ogni tanto sposta un po' troppo Robbie sul versante serioso, mettendo in secondo piano la sua anima più divertente.
Insomma: la a verità sta nel mezzo: un modo per celebrarsi e celebrare, oltre al solito greatest hits. Una buona occasione per risentire un pezzo di storia del pop degli ultimi decenni.