Calcutta prima di Calcutta: quando suonava cover dei Lunapop

Sì, certo, "Cosa mi manchi a fare". Ma avete mai ascoltato i primi due dischi, oggi introvabili?

«Spinaceto, un quartiere costrutio di recente. Viene sempre inserito nei discorsi per parlarne male: “qui mica siamo a Spinaceto”, “Ma dove abiti, a Spinaceto?”. Poi mi ricordo che un giorno ho letto anche un soggetto che si chiamava fuga da spinaceto: parlava di un ragazzo che scappava di casa, da quel quartiere, e non tornava mai più», diceva Nanni Moretti nel 1993 in una delle scene più iconiche non solo del suo “Caro diario”, ma della sua filmografia in generale. «Beh, Spinaceto pensavo peggio: non è per niente male». Chissà che a Edoardo D’Erme non sia tornata in mente quella battuta, quando nel 2009, sei anni prima dell’uscita di “Cosa mi manchi a fare”, arrivò nello studentato del quartiere nel quadrante sud-ovest di Roma, da studente della facoltà Archeologia all’Università La Sapienza di Roma. Il futuro messia del cantautorato pop italiano si era allontanato dalla sua Latina dopo aver collezionato una serie di fallimentari esperienze con alcune band locali. Tra queste anche il duo chimp pop all’italiana dei Calcutta, di cui riprenderà il nome per il suo progetto solista, fondato insieme a Marco Crypta, una miscela fra Beat Happening e Lucio Battisti sperimentata per la prima volta sul palco del Sottoscala 9, locale della periferia di quella che De Gregori definì in “Nero” come «la grande città del nord».

Tra i Lunapop e le Suore Adoratrici del Sangue di Cristo

Quando Calcutta arrivò a Roma, il Pigneto, ex borgata amata da Pier Paolo Pasolini, per anni abbandonata a sé stessa prima che le politiche urbanistiche del Comune di Roma si interessassero alla sua riqualificazione, era nel pieno della sua rinascita sociale e culturale e il cantautore si immerse completamente nel vivacissimo ambiente del quartiere. La cui fauna era stata raccontata bene qualche annoi prima da Niccolò Contessa ne “Le velleità” dei suoi Cani, tra «falsi nerd con gli occhiali da nerd», «radical chic senza radical», «nichilisti col cocktail in mano che sognano di essere famosi come Vasco Brondi», «anoressiche alla moda», «anoressiche fuori moda», «bulimiche che si occupano di moda» e «aspiranti dj che aspirano coca». I frequentatori di locali come il Circolo degli Srtisti, il DalVerme di via Luchino Dal Verme o il Fanfulla 5/a di via Fanfulla Da Lodi, le prime esibizioni romane della voce di “Cosa mi manchi a fare” se le ricordano bene e le raccontano come se si trattasse di leggende: c’è di chice di aver assistito a serate in cui Calcutta suonava solo ed esclusivamente cover di Cesare Cremonini e dei Lunapop (ed è lui stesso a confermarlo a Repubblica: «Cremonini lo considero interessante, canto i suoi brani in un altro mio progetto») e chi, invece, giura di aver assistito ad alcuni inquietanti spettacoli in cui il cantautore, buttato a terra, recitava la parte di un clochard, circondato da cartoni di Tavernello, mentre un altro strambo personaggio suonava una chitarra senza corde indossando una maschera da suora. Il personaggio in questione era Demented Burrocacao, vero nome Stefano Di Trapani, e il progetto era Le Suore Adoratrici del Sangue di Cristo.

I primi dischi, ormai introvabili

Fu proprio una camera dello studentato di Spinaceto che nacquero le prime canzoni “romane” di Calcutta, quelle che finirono nei suoi primi dischi, gli ormai introvabili “Forse…” e “The Sabaudian Tape”, usciti a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro tra la fine del 2012 e il 2013. . sono canzoni legate a una dimensione provinciale, registrate con metodi di incisione per niente convenzionali, tra esperimenti di re-amp, voci subissate da molti effetti e sonorità grezze, come “Senza asciugamano”: «Quanto sei bella / ma mi dispiace, scendo a Cisterna». Cisterna, per la cronaca, è al fermata che precede Latina nella linea Roma Termini-Minturno. In "Arbre Magique", che nel 2016 finirà nell’edizione deluxe di “Mainstream”, cita Battisti: «Ma noi / una cantina buia dove noi / non l’abbiamo avuta mai / lo facevamo in macchina / in macchina / o non lo facevamo mai».

Le evoluzioni di "Cosa mi manchi a fare"

Su YouTube qualcuno tempo fa pubblicò un video che metteva insieme le varie versioni di “Cosa mi manchi a fare” dalla prima volta che Calcutta la eseguì dal vivo, nel 2013, fino al 2019. È ancora in rete e ascoltare le registrazioni dell’epoca è come fare un tuffo nella scena musicale romana di quegli anni magici e irripetibili: «Questo pezzo lo dedico alla ragazza di Stefano», dice Calcutta in una registrazione, prima di attaccare una prima versione embrionale della futura hit. Poi si susseguono varie clip girate proprio nei locali romani frequentati da Calcutta prima di diventare Calcutta, fino alla versione definitiva. Marta Venturini, già frontwoman della band dei Rumore Bianco e compositrice per popstar come Annalisa e Dolcenera, che fu chiamata a produrre “Mainstream”, racconta a Rockol: «La versione originale era lentissima. Una delle cose che all'inizio mi fece innamorare del suo personaggio fu questa: invece di mandarmi un file audio con la demo della canzone, mi mandò un video in cui la suonava prendendo in giro Brizio, uno dei ragazzi di Bomba Dischi, montato in maniera assurda, con lui che scriveva sulle note del pc. Insomma, uno di quei video strani che ancora oggi di tanto in tanto pubblica sui social. Gli consigliai di accelerarla tantissimo: tutta un'altra cosa. La cosa che notavo, all'epoca, era che le persone non si stancavano mai di ascoltare quei file, che erano ancora provinacci grezzi. C'era questa strana fame, una ruota generale di gente che era entrata in fissa con Calcutta: anticipava quello che sarebbe successo dopo. Mi ricordo che alla fine delle lavorazioni, quando i pezzi erano già tutti impacchettati, lo guardai e gli dissi: “Edo, ma tu sei pronto per quello che succederà?”». Il resto è leggenda.

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