La rivista bimestrale «Prog Italia», pubblicata dalla Sprea Editori (Classic Rock, Vinile, Ciao 2001, Metal Hammer, Buscadero dopo la morte di Paolo Carù) con il numero 61 (20 luglio 2025) festeggia dieci anni di vita e lo fa con immutata energia.
La copertina e la cover story del numero 61 (116 pagine a colori su carta patinata) sono dedicate al mondo di “the lamb lies down on Broadway” dei Genesis, e a Steve Hackett, che a settembre porterà quel capolavoro dal vivo in quattro concerti italiani: 2 (Milano) – 3 (Vicenza) – 5 (Macerata) – 6 (Roma) – 7 (Napoli) – 9 (Palermo) – 10 (Agrigento). Nello stesso numero anche un articolo sul live dei Pink Floyd a Brescia, nel 1971.
Ecco la nostra intervista a Guido Bellachioma, direttore della rivista.
Buon compleanno, Guido. Dunque il prog resiste e lotta insieme a noi?
Dall’uscita del nostro “leggendario” primo numero a questo sono trascorsi 10 anni. Un numero che scritto in lettere fa capire meglio quanto sia veloce il trascorrere del tempo, che in alcuni momenti della vita, specialmente quando chiudi un attimo gli occhi per riflettere, sembra andare lento, invece… D-I-E-C-I! Punto e a capo…
In questi anni ne abbiamo viste di tutti i colori. Pensiamo al Covid. Quando siamo partiti per questa ormai lunga avventura non avremmo mai lontanamente ipotizzato una società bloccata a livello mondiale, neanche per un giorno. Ma, nonostante tutto, grazie al sostegno dei lettori siamo rimasti in piedi, diventando, anzi, un punto di forza per il “fare” comunità attraverso «Prog Italia». Un’esperienza indimenticabile.
Supportiamo le edicole che stanno cercando di resistere alla tempesta che le sta scuotendo, ma non dimentichiamo la possibilità di abbonarsi, dato che il nostro servizio, a quanto mi dice molta della gente che lo utilizza, è efficiente: www.sprea.it/prog
Perché una rivista come «Prog Italia» per una musica così “strana” come il progressive rock?
Al di fuori del nome della rivista, che serve a identificare un’area complessiva, parlerei di “percorsi progressivi”, che vanno dal prog sinfonico allo Zeuhl dei francesi Magma, dal jazz rock all’elettronica, dal folk rock al metal prog, dai suoni canterburiani alla psichedelia… e qualsiasi altra forma di apertura mentale e progressiva nell’approccio, ovviamente che tenga conto di quella musica, senza confini ma evoluta, che prende vita alla fine degli anni Sessanta, e che oggi ancora resiste in buona salute, anche se i media hanno smesso di occuparsene.
«Prog Italia» ha un senso perché esiste un “popolo” che ci si riconosce, senza che debba rincorrere un mercato, senza fare concessioni all’ascolto facile. Abbiamo eliminato ogni rubrica spezzatino (recensioni, news, ecc) per andare sempre in approfondimento sugli argomenti.
Una rivista cartacea ha il dovere-piacere di raccontare storie che siano credibili e condivisibili. Il successo di «Prog Italia», che ha sorpreso anche me, nasce dall’affetto dimostrato dalla gente per chi ha volute fare una rivista onesta intellettualmente e che se ne frega di avere un format, una formula matematica persino per l’impaginazione, di quanto devono essere lunghi gli articoli per non annoiare, di quanto prog “old” e prog “new” ci debba essere in ogni uscita.
Siamo un bimestrale e abbiamo in quarta di copertina non la pubblicità ma una seconda copertina, diciamo più artistica perché non ha gli “strilli” dei titoli a rovinare la foto. Una rivista cartacea che non ha paura di confrontarsi col web; che vive, anzi, grazie anche al tam tam sui social dei lettori e della collaborazione con altre realtà musicali del web…
Non amo solo il prog, ci mancherebbe altro, ma tutta la musica vera, quella che vive delle e nelle nostre emozioni. Per questo motivo la gente di «Prog Italia» pone la musica al centro della propria vita e permette a una rivista come questa di avere ancora senso oggi: perché cerca di essere in sintonia con quelli di un "certo" tipo, che non se la tirano ma sanno ciò che amano e non si sentono “sfigati” se le musiche di cui parliamo, prog e dintorni, non sono alla moda. Noi ci siamo e speriamo di esserci ancora per molto tempo, quando abbiamo iniziato non pensavamo certo di arrivare a festeggiare i dieci anni di vita. Dico grazie a tutti di esserci, a quelli che conosco e a quelli che non conoscerò mai: senza questo straordinario filo conduttore, ripeto, quello che facciamo non avrebbe senso.
Il progressive è legato al vinile, un supporto che ne ha esaltato anche la dimensione estetica con copertine ricche di dettagli e spesso di grande impatto. Oggi, tuttavia, la musica è liquida, si ascolta spesso in streaming o quantomeno in formato digitale: è così sempre disponibile, fruibile e spesso gratuita (o quasi). Che rapporto hai con la musica liquida?
Musica liquida di per sé non vuol dire molto: sono liquidi gli MP3 a bassa definizione e i master da scaricare come gli originali ascoltati dal gruppo alla fine del processo realizzativo. Ascolto in tutti i modi possibili, ma prediligo sempre il massimo della qualità.
La musica non equivale a suoni di sottofondo ma è un’altra “cosa”. Se ascolti devi avere tempo per farlo, altrimenti riempi i tuoi silenzi emotivi in un altro modo. Non ho il culto del passato, in questo caso del vinile, ma ho il rispetto dell’arte, e penso che la musica sia arte in senso assoluto. Il problema del gratis o meno è legato anche alle proprie priorità di vita, ovviamente se non ci sono drammatici problemi di sussistenza. L’esistenza di una rivista cartacea come la nostra conferma tale concetto; anche nella situazione attuale, dove si scarica praticamente tutto gratuitamente, spesso in modo non legale, riusciamo a ritagliarci il nostro spazio. E il pubblico fa sacrifici per trovarci in edicola, vista la crisi del settore distributivo.
Pensavo, dopo lo speciale sul rock italiano degli anni 70, praticamente il numero 0 (dicembre 2014), che avremmo chiuso dopo pochi numeri… invece siamo ancora vivi. Stiamo cercando di mandare il nostro marchio il più in giro possibile perché vogliamo arrivare alla gente “normale”, non solo allo zoccolo duro del prog, a quelle persone che hanno una sensibilità sintonizzata sulla nostra musica… ma che non lo sanno. Ovviamente senza snaturare la nostra proposta: però bisogna comunicare col resto del mondo e non chiudersi in difesa di purezze astratte.
Quali sono le differenze fra Prog Italia e Prog UK?
Ormai sono più di cinque anni che non c’è più legame, se non buoni rapporti tra le case editrici (la Sprea edita edizioni italiane di Classic Rock e Metal Hammer). L´affinità stava nel titolo della rivista e nel filo conduttore, inevitabile per gli articoli che prendevamo dall’edizione inglese, in verità pochi, spesso 20 pagine su 130, poco o nulla, calcolando che loro sono mensili e noi bimestrali, quindi 10 pagine da ogni numero inglese. La filosofia di base è sempre stata molto diversa. Come ho detto, noi non abbiamo rubriche e preferiamo approfondire ogni singolo artista che trattiamo. Meno artisti, ma più spazio per ognuno. Poi Prog UK ha una sola intervista, che infatti chiama The Prog Interview, mentre noi ne abbiamo molte. Quando nel 2015 andai a Londra per parlare con la casa editrice inglese la loro redazione apprezzò molto la nostra diversità.
Come critico musicale e appassionato di buona musica quali sono stati gli incontri che più di altri ti hanno colpito?
Troppo complicato rispondere. Ho iniziato a scrivere seriamente nel 1982 e ho proseguito, senza mai smettere fino ad oggi, oltretutto ho operato molto anche come fotografo, poi con l´avvento del digitale ho smesso. Troppe esperienze da condensare: Tuttifrutti, Metal Shock, Suono, Musica di Repubblica, persino i fotoromanzi della Lancio durante gli anni ‘80 e ‘90… interviste alle stelle del pop (Zucchero, Duran Duran, Spandau Ballet, A-Ha, ecc), o a gruppi che amavo tanto (Faith No More, ELP, Jethro Tull, Jack Bruce, Jeff Buckley, John Mayall, Derek Trucks)… certo le devianze progressive hanno sempre avuto un posto particolare nel mio cuore. Fra quelli che mi hanno lasciato ricordi più vivi, come contatto culturale, ci sono Jack Bruce, Jon Hiseman, Richard Sinclair, Tina Turner, Ivano Fossati, Giulio Capiozzo degli Area, Francesco Guccini, Frank Zappa, Tony Iommi…
Come si sta evolvendo secondo te l´universo progressive al giorno d´oggi? C´è ancora possibilità di assistere ad una “nuova rinascita” del genere anche a livello di visibilità maggiore?
Oggi praticamente qualsiasi musica legata al rock è storicizzata e le “rinascite” dipendono sempre dal mercato e da chi ci opera dietro. Spesso, quando i media non hanno di meglio da fare, in qualsiasi campo e non solo nel prog, parlano di rinascita; in realtà la musica che ha qualcosa da esprimere non muore mai, perché dovrebbero morire tutti quelli che vivono per la musica. Forse questo è il motivo per il quale ho accettato di fare «Prog Italia».
Quali band progressive post anni ‘90 hanno colpito la tua attenzione?
Mmm… pure qua, troppe per rispondere… tralasciando le realtà storiche, anche se ancora in attività, farò solo qualche nome al volo, dimenticandone tanti. Non è vero che la musica è morta, ha solo cambiato modo di essere vissuta, e le rivoluzioni epocali non sono all´ordine del giorno… la contaminazione non innova sempre e la storicizzazione delle proposte non è sempre negativa, ancora una volta l´energia e la sincerità nel proporre le proprie composizioni sono vincenti: Bent Knee, Slivovitz, Paul Hanson & Raze the Maze, Winstons, Thieves´ Kitchen, La coscienza di Zeno, Motorpsycho, La fabbrica dell´Assoluto, Zopp, Moon Safari, Seven Impale, Jaga Jazzist, Moongarden, Il porto di Venere, Zio Crocifisso, ecc…
Come si potrebbe secondo te, al giorno d´oggi, rendere più fruibile ed accessibile l´universo progressive alle nuove generazioni?
Meno “seghe” mentali su cosa è prog e cosa non lo è; non commercializzarsi, perché saresti perdente e non otterresti neanche più il rispetto per te stesso; ma non guardare sempre tutti dall´alto in basso; anche non pensare per forza in tempi dispari e brani lunghissimi, la lunghezza deve essere quella che ti serve per tirar fuori quello che hai nel cuore e nella testa. “Non mi rompete” del Banco del Mutuo Soccorso è forse meno prog di altre composizioni perché dura di meno?
Che ruolo pensi di svolgere nel mondo della musica?
Difficile rispondere. Mi sento solo un artigiano della musica, non ho e non voglio avere un ruolo preciso. Tutta la mia vita è incentrata sulla musica e sull’arte in generale. Nasco come giornalista sulla carta stampata ma, dato che sono curioso e irrequieto, mi sono sperimentato come fotografo, speaker radiofonico, conduttore tv, organizzatore di concerti, negoziante di dischi, direttore artistico, discografico e tante altre cose, più difficili da inquadrare… non riesco a definire il mio rapporto con la musica. Sono stato determinato e fortunato, riuscendo a trasformare la mia più grande passione in un lavoro. Ho iniziato nel 1982, ma non ho ancora finito di apprendere e ho ancora voglia di giocare con i suoni e con le visioni della musica.
Un messaggio finale?
I messaggi li lasciano i santoni. Ascoltate musica dal cuore grande e prestatele un attimo di attenzione e della vostra anima, potreste rimanerne incantati. Poi chiamatela come vi pare, non per forza “prog”.