Continua il percorso solista di Damiano David, in pausa dai Maneskin: dopo i primi due singoli “Born With A Broken Heart” e “Silverlines”, dopo l’annuncio del tour per la tarda estate/autunno del 2025, il cantante è in copertina nel nuovo numero di Vogue, intervistato dal premio Pulitzer Andrew Sean Greer e fotografato da Steven Klein.
David ha raccontato il trasferimento a Los Angeles per realizzare il nuovo album:
All'inizio, è stato davvero spaventoso. È stato uno choc culturale. Ed è stato difficile trovare il mio posto in quella città. Non ci sono bar o locali con posti a sedere all'esterno, né piazze dove la gente si ritrova. È una città in cui non si cammina, mentre a Roma non si fa altro... anche perché ci vuole del coraggio per muoversi in auto. Los Angeles, a volte, sembra un deserto, ti fa sentire un po' solo. Non avevo un background e, in pratica, potevo essere chiunque volessi. Perché nessuno mi conosceva. E questo mi ha permesso di mettere da parte tutto quello che avevo fatto fino a quel momento e di costruire il mio ambiente da zero: nuova gente, nuovi posti, nuovi musicisti, nuovi autori. E, naturalmente, questo mi è stato di grande ispirazione».
Ma la chiacchierata è stata anche l’occasione di raccontare gli incontri con altre star:
Ho avuto la fortuna di incontrare persone immense, a volte di lavorare con loro, e le migliori sono quelle più tranquille. Bon Jovi è la persona più tranquilla in assoluto, ma lo sono anche Labrinth, Bruce Springsteen, Mick Jagger... Poi ci sono persone che sono sì grandi, non altrettanto grandi, ma che non sono affatto tranquille. Vogliono avere questa aura che è... finta, è una maschera. Si tratta di insicurezza, di non avere piena fiducia nella propria carriera».
“Credo che il segreto, in questo lavoro, sia la coerenza”, conclude David. “So chi sono come artista e, se questo album fa flop, non sarà un verdetto sul mio talento: significherà solo che era il momento sbagliato. Farò un altro album, che un giorno funzionerà, perché so di essere in grado di farlo. Quindi, sì, direi che ho paura di cadere nella trappola della produzione in serie e della fama. Perché l'ho fatto, mi è successo. Ne ero ossessionato, tre anni fa”.