Jimmy Villotti: “un incrocio fra Frank Zappa e Flaiano”

Un doppio album per ricordare il chitarrista emiliano. Brani scelti da Mauro Malavasi. Intervista

Jimmy Villotti, scomparso a Bologna lo scorso 6 dicembre 2023, è stato un grande chitarrista, oltre che un cantautore e scrittore. 

Poco noto al grande pubblico il musicista emiliano (nato a Budrio nel 1944) ha per dieci lunghi anni militato nell’orchestra di Paolo Conte, ma ha “prestato” la sua sei corde a Lucio Dalla (di cui era grande amico), a Guccini, Lolli, Vanoni, Morandi, Stadio, Endrigo, Carboni, Vinicio Capossela e ha fatto anche il produttore per gli Skiantos

Da solista ha all’attivo nove album (tra il 1978 e 2004) che spaziano dall’opera rock al jazz, ma anche otto libri (pubblicati tra il 1988 e il 2014). Per raccontare il suo prezioso lavoro dandogli il giusto valore e (ri)scoprire una figura meritevole di attenzione esce il 6 settembre una raccolta (in digitale e 2CD – 2LP - colorati limited edition) dal titolo “Jimmy Villotti”, che in 24 brani esplora, includendo rarità e inediti, la sua carriera artistica.

In occasione dell'uscita di questa compilation Paolo Conte (che gli ha dedicato anche una canzone) scrive così ricordando il suo prezioso collaboratore:

Ascoltando questi suoi lavori, mi sono chiesto quando – e in quale stato d’animo – Jimmy avesse scoperto la poesia ermetica e, in generale, il linguaggio ermetico. Perché in questo ermetismo non convulso si doveva trovare benissimo, a suo perfetto agio. Jimmy, così amicone con tutti, brillante, spiritoso e comunicativo, quando parlava (e scriveva) a sé stesso usava questo linguaggio che a molti potrebbe sembrare strano e non facilmente decifrabile. Ma se ci occupiamo di lui in quanto musicista possiamo – forse – capire meglio. Un giorno Lilli Greco, il grande, storico produttore dell’RCA mi disse: ‘’Sai, Paolo, per Jimmy la chitarra non ha segreti’’. Questa mancanza di segreti, che gli aveva permesso di suonare su ogni tipo di chitarra, lo aveva portato a scegliere la sua preferita (credo una Gibson del ’50). A chi attribuiva un suono disadorno e incolore (se non un ruggine sbiadito) lui diceva ‘’Villotti suona sporco’’, con un misto di consapevolezza e orgoglio. Una chitarra, allora, ermetica, adatta ai percorsi ermetici, dove la tinta di fondo è proprio un ruggine sbiadito. Mi ricordo bene quel suono, come mi ricorderò sempre di lui

A pochi mesi dalla sua scomparsa anche le istituzioni bolognesi hanno deciso di commemorarlo. Il sindaco della sua città, Matteo Lepore, ha assegnato a Villotti, consegnandolo alla moglie, il premio Turritta d’Argento con questa motivazione:

Jimmy Villotti ha incarnato l'essenza di Bologna città creativa della musica: un grande artista eclettico e ironico, capace di muoversi in diversi ambiti sempre eccellendo e collaborando con i migliori talenti di varie generazioni del jazz, la passione di una vita a cui ha dato tanto, e della musica d'autore italiana, dai bolognesi Lucio Dalla, Francesco Guccini e Andrea Mingardi, oltre naturalmente a Paolo Conte e Vinicio Capossela e molti altri. Una chitarra dal suono unico, un uomo che ha sempre avuto swing, una personalità coinvolgente che non poteva lasciare indifferenti e che lascia un solco indelebile nella storia culturale della città.

Per ricordarlo in maniera discografica e dal punto di vista strettamente artistico esce un doppio album dal titolo “Jimmy Villotti”. A curare la scelta e la realizzazione di questo lavoro troviamo il bolognese Mauro Malavasi, storico autore e produttore musicale, legato a Lucio Dalla ma artefice da protagonista, sebbene paradossalmente dietro le quinte, di momenti importanti della musica italiana, che vanno dalle colonne sonore alla Italo Disco, da Andrea Bocelli a tanti illustri cantautori: Morandi, Mango, Nannini, Antonacci, Pavarotti tra gli altri.

Tra Villotti e Malavasi fu amicizia a prima vista, sin da ragazzini ma anche una questione professionale. Quindi, da profondo conoscitore del lavoro del chitarrista, aveva i titoli giusti per occuparsi di questa compilation. Così è stato e così ci racconta come questo lavoro ha (meritoriamente) visto la luce parlandoci anche di Jimmy, uomo e musicista

"Era doveroso realizzare questa raccolta. Io sono amico di Jimmy da bambino, da quando avevo 12 anni, e abbiamo fatto il Conservatorio insieme. Ho avuto la fortuna, il privilegio di poterlo vivere quasi quotidianamente perché entrambi bolognesi e vicini di casa. Conoscendoci talmente presto, fin dai tempi di scuola, abbiamo condiviso tante chiacchiere, tanti discorsi, tanta musica e tante battaglie. Poi avevamo le comuni amicizie con Dalla, Guccini e Conte. È stato un po’ come un fratello maggiore per me. E come un conoscente e vicino di casa è stato inevitabile frequentarlo. Poi tramite Renzo Fantini (storico manager di Paolo Conte) ho avuto anche la fortuna di lavorare sui primi dischi di Jimmy tra la fine degli ’80 e i primi ‘90: “Jimtonic”, “Jimmy Villotti”, “Si fidi ci ho il fez”, “Cesar Ruby”. Noi lo spronammo perché era un tipo molto schivo, riservato. Aveva questo grande talento, ma non è che gli piacesse così tanto esporsi. È sempre stato un tipo molto socievole ma anche riservato, schivo artisticamente, per cui alla fine dei giochi ho pensato fosse veramente doveroso fare questo lavoro perché, al di là dell'amicizia, lo ritengo un grande artista". 

Con che criterio è stata realizzata la compilation?
Raccogliendo un po’ tutto quello che è stato fatto in cinquant'anni di vita di questo uomo e anche qualche inedito, perché ci sono anche inediti che erano in laboratorio fermi da un tot e che abbiamo riesumato, post prodotto e masterizzato. Il disco è nato un po’, se vogliamo, dal mio feeling e dalla cronistoria che ha accompagnato il suo momento storico, il suo mettersi in gioco, perché, ti ripeto, è sempre stato un uomo schivo, però da un certo momento della sua vita, dopo 10 anni circa che lavorava con Paolo Conte nella sua orchestra, sentii che lui aveva questo bisogno e desiderio di testimoniare il suo percorso, le sue cose al di fuori di tutti i crismi e i diktat del mercato, del commerciabile e del marketing. Ho sempre sentito in Jimmy il prototipo di artista puro, fuori da qualsiasi tipo di condizionamento di moda, dalla contemporaneità, di tutto, quindi questa è sempre stata la cosa che mi ha attratto e che ho ritenuto sempre una sua caratteristica. Questo è stato il motore che mi ha anche spinto, al di là della grande stima per lui, a mettere nero su bianco le sue opere, il suo percorso.

Ma dal punto di vista artistico, da solista, che linguaggio usava, che linguaggio aveva?
(Ride) Non lo definirei un cantautore nel senso usuale, canonico del termine. È un artista in musica e parole. Per me è un creativo moderno, colto, ironico e libero, diciamo affrancato da ogni cliché e convenzione. E per questo mi ha sempre stupito e affascinato.

Invece quando suonava con altri artisti, in particolare con Conte, che cosa diceva, che cosa aveva da raccontare?
È sempre stato un ottimo chitarrista, molto personale, molto abile, quindi con gli altri si è messo al servizio. Lucio [Dalla] stesso, che era molto amico sia di me che di Jimmy, se doveva andare a fare un concerto veloce o una convention o una cosa così, si prendeva Jimmy con lui. È successo anche a Ferrara e a Venezia quando è andato con un cappello a suonare in strada, e aveva Jimmy con lui. Quindi Lucio aveva una stima grande nei confronti di Jimmy, tanto è vero che accettò di fare un duetto, cosa non scontata.

Duetto che è presente nel cofanetto. Ma il comune denominatore tra Dalla e in qualche modo anche Paolo Conte e Jimmy potrebbe essere il jazz? Possiamo definire Villotti un artista jazz?
Si e no! Secondo me certo che Jimmy può essere un artista jazz, ma il picco artistico lo tocca quando unisce musica e parola. Perché nella musica c'è il jazz, il pop, il blues, le esperienze con Paolo Conte, con Guccini, con Lucio Dalla, con Morandi e con Capossela. I grandi l'hanno sempre tenuto in considerazione come sideman, ma secondo me l'artista Jimmy Villotti è un campione proprio con la musica d'autore. Il picco lo raggiunge in questo ambito portando un ampio vocabolario musicale dove non c’è solamente jazz ma tutta la sua cultura.

Quanto è stato difficile produrlo?
È stato facilissimo e difficilissimo. Facile da pensare come fare, difficile da mettere in pratica. Il suo modo di approcciarsi al disco era solo suo. A volte sono restio a parlare troppo della sua musica, perché il godimento è di ascoltarselo da solo e ognuno ci sente quello che vuole, perché la musica dice tutto, le parole dicono tutto. Dentro c’è un mondo che ognuno di noi metabolizza e recepisce. Poteva essere solo così, non è che ci fossero tante alternative sui testi o sulle sue musiche. Il suo modo di approcciare era assolutamente personale.

Il suo essere schivo e anche le sue scelte artistiche l'hanno portato a deragliare dai canoni della musica pop, dalla commerciabilità e dalla facilità di diffusione della sua musica. Questa era una scelta che in qualche modo ha pagato e ha voluto? Oppure era così e non poteva essere altrimenti?
Jimmy non ha mai amato troppo gli affollamenti, gli assembramenti, il troppo. Lui è sempre stato un po’ titubante in questo, tant'è vero che a vent'anni vinse un concorso di Radio Montecarlo con un gruppo che si chiamava Jimmy M.E.C. e il primo premio era un contratto con la Fonit Cetra che garantiva all'artista tanto di album con tutto il progetto completo. Lui lo rifiutò (uscì solo un singolo) perché lo riteneva troppo commerciale per i suoi parametri, per la sua visione della vita. Quindi già questo ti dice a vent'anni che testa avesse. Lui ha sempre seguito con onestà e dignità il suo percorso.

Cos'altro avrebbe potuto fare?
Ha fatto di tutto. Il musicista per tutti, ha scritto libri, canzoni e musica. È un artista a 360 gradi. Per me è un incrocio fra Frank Zappa e Flaiano. perché aveva una grande cultura. Leggeva ed era curioso, si interessava della storia antica, amava letteratura e filosofia, scriveva tanto, faceva tante cose, era un appassionato di tutti gli aspetti della vita. Nello stesso tempo però era anche timido, nel senso che ha avuto la fortuna, anche la sfortuna, di collaborare con o di avere sempre vicino degli artisti enormi. Per cui sentiva dentro di sé di non avere coraggio nel fare le sue cose. Si chiedeva in che modo potesse approcciare un mercato come quello di Lucio Dalla, di Paolo Conte, Morandi o Guccini. Può darsi, anche se non me l'ha mai confessato. Si riteneva una persona umilissima, neanche capace, invece aveva una grande forza. Lui era abile nel fare tutto: faceva un blues e ti faceva anche una tarantella o la canzone di Ornella Vanoni. Cioè non è questo il problema. Il problema è che lui sentiva questo afflato ulteriore, quindi sicuramente doveva fare di più, doveva dire di più, anche se come ti ripeto io l’ho sempre spinto a scrivere e registrare. Dai, vai, scrivi. Ma lui era restio, titubante di non essere all'altezza di quella cosa, invece alla fine era proprio lì che si rivelerà la sua bravura.

Lui ha più imparato dai grandi artisti con cui ha collaborato e poi l'ha riportato nel suo mondo artistico o gli altri hanno imparato molto da lui?
Secondo me è una cosa reciproca, perché Jimmy sicuramente ha imparato e acquisito tante cose, però anche lui umanamente ha dato tanto agli altri perché anche quando non era integrato nella musica specifica, in quella canzone, in quella nota, lui come uomo era di un'integrità e di un'umanità rarissima e portava positività ovunque. Tutti quelli che l'hanno conosciuto hanno amato Jimmy. Aveva il potere carismatico dell'uomo. 

 

 

 

 

 

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