Da poche persone in uno studio di registrazione a oltre 60mila in un festival, 67mila per l’esattezza: sempre Milano, sempre Lana Del Rey. Era il gennaio 2012 quando sui Navigli arrivava per un intimo showcase (qui il nostro report del tempo), per convincere gli scettici tra gli addetti ai lavori. “Video games” era già uscita, ma come raccontammo al tempo c’era chi pensava fosse un bluff, dall’estero si parlava di “strana storia della star che ha riscritto il passato” (Guardian), dei sospetti che fosse una “nepo baby” come si direbbe oggi (un padre imprenditore milionario che sosteneva la carriera).
Oggi “Born to die” è considerato il primo di una serie di classici che uniscono scrittura magistrale e un immaginario vintage unico: Lana si è costruita una credibilità, una fama ben solida e una fan base adorante. Anche in Italia - lo avevamo capito l’anno scorso quando 17mila persone avevano comprato il biglietto per il suo concerto, con una sola settimana di anticipo, a La Prima Estate, in Versilia (Leggi qui).
Il suo ritorno a Milano, per la seconda data dell’I-days la vede esibirsi all’Ippodromo La Maura, con quasi gli stessi numeri dei Metallica, e questo dà il senso delle proporzioni ma apre anche qualche interrogativo.
Il pubblico che entra e già affolla l’area del concerto è prevalentemente (ma non esclusivamente) femminile ed è un pubblico adorante, dalla lacrima facile, pronto a emozionarsi a ogni canzone della popstar americana.
L’inizio del concerto è la parte più sorprendente della serata ed è un buon inizio. Nelle prime canzoni infatti le atmosfere eteree dei dischi si fanno, grazie ad una pulsante band carica di groove, più concrete, anche se la voce resta sognante e leggera. Voce spesso coperta sia dalle più robuste esibizioni delle coriste, sia dal coro del pubblico che canta appassionato.
Sul palco Elizabeth Woolridge Grant fa l’espressione da finta ingenua, con un fare un po' lolitesco e un look che rimanda alla fine degli anni ’50 primi ’60 sia nell’acconciatura che nell’abbigliamento. Con lei sul palco un gruppo di ballerine che eseguono coreografie intorno alla cantante che invece si limita a passeggiare per il palco e solo in alcune rara occasione si concede qualche accenno coreografico. Preferisce piuttosto sedersi a un tavolino o su una sedia accanto alle tre coriste.
Ma la pressione sonora messa in campo dura poco perché il tutto ben presto si affievolisce e rientra nei canoni più vicini allo stile discografico di Lana. Sono momenti molto intimi, intensi che però in uno spazio ampio come quello dell’ippodromo di Milano risultano un po’ dispersivi.
La voce della Del Rey non si discute, in solitudine e nella massima tranquillità la sua arriva; con il suo timbro e la sua interpretazione tocca le corde del sentimento ma lascia anche una certa sensazione che tutto sia fin troppo ben costruito: manca un po’ di passione in più. Ma soprattutto il grande assente della serata sembra essere lo spettacolo e quella briciola di carnalità che rendono “umana” una performance.
Nell’ora e mezza circa tutto è perfetto ma estremamente statico, nel senso che non bastano i balletti sul palco, è la star in un tale contesto a non fornire “movimento” e passione. Sembra ci sia uno scollamento tra le coreografie, il palco e la protagonista, piani che mai s’intrecciano tra loro.
Nel finale, dopo una lunga parte per piano e voce, il tono generale della musica risale pur senza diventare mai travolgente ed esplosivo.
Quello che presenta Lana Del Rey è dunque un concerto a due velocità: da una parte la sua voce e le sue interpretazioni che sono migliori nei momenti di tranquillità, di pacatezza. Dall’altra l’assenza di potenza visiva che rende distante il palco, soprattuto con queste dimensioni di pubblico. La distanza perl viene colmata dal pubblico che si appassiona, piange, canta, intona cori sulle note di “Sei bellissima”, apprezza le gesta della propria eroina e chiede a gran voce “Salvatore” (che non è in scaletta).
Lana Del Rey mette in scena sé stessa, e sono luci e ombre, tempi lenti e dilatati. Momenti di intimismo e di psicosi collettiva. O la si ama o la si odia, ma non lascia indifferenti; in un mondo pop in cui l’apparire è talvolta superiore all’essenza, Lana Del Rey abbia è un'eccezione con un consenso altrettanto eccezionale.
Scaletta
Without You
West Coast
Doin' Time
Summertime Sadness
Cherry
Pretty When You Cry
Ride
Born to Die
Bartender (interludio)
Bartender
Burnt Norton (Interludio)
Chemtrails Over the Country Club
The Grants
Tunnel Interlude
Did you know that there's a tunnel under Ocean Blvd
Norman fucking Rockwell
Arcadia
Video Games
hope is a dangerous thing for a woman like me to have – but I have it
A&W
Young and Beautiful