La parola “blues” in Italia è indissolubilmente legata a Fabio Treves, armonicista milanese, fondatore della Treves Blues Band che in 50 anni di attività ha diffuso la “musica del diavolo” nel nostro paese, diventandone il “divulgatore” e un’istituzione nel suo ambito.
Appassionato, entusiasta, instancabile (ma anche in ottima forma) il 75enne bluesman ha saputo portare il blues a un livello popolare senza sminuirne i contenuti, mantenendo nei tanti anni di attività un’incrollabile coerenza e correttezza artistica.
Una lunga carriera in compagnia di musicisti di ottimo livello che si sono alternati nell’organico della band, spesso poi seguendo carriere soliste. Ormai da qualche decennio la TBB ha una sua forma stabile. Ovviamente il meglio lo propongono dal palco dove alternano standard del blues con brani di loro composizione, sempre guidati dall’armonica di Fabio che insieme alla chitarra condivide la prima fila.
Abbiamo incontrato il band leader che ci ha parlato della sua storia artistica alla vigilia della partenza di un tour celebrativo che nelle prime date avrà come special guest Lou Marini, il sassofonista (di origini italiane) della Blues Brothers Band che appare anche nel mitico film di Landis del 1980.
Come vivi i 50 anni della Treves Blues Band?
Innanzitutto con un grande senso di appagamento, di grande soddisfazione perché siamo passati attraverso cambi di musica, di stili, cambi politici, eventi storici, cambiamenti culturali. Li ho vissuti tutti intensamente con la passione, passando dai primi concertini, per poi arrivare ai concerti e rassegne più importanti e tanti incontri. Quello che mi piace di più sottolineare è il senso di felicità, perché i 50 anni di carriera non sono un traguardo normale né per il blues né per altra musica. Io penso di aver sempre affrontato con serietà la mia attività, però mi sento indipendente, libero, diciamo coerente. Io mi sono accontentato di tante belle cose che ho fatto, le collaborazioni, il fatto di essere riuscito a coronare i sogni, anche solo quello di salire sul palco per due volte con Zappa.
Come e perché è nata la TBB? Cosa ricordi dell’inizio?
È nata perché sono stato rapito dal blues ascoltando i gruppettini che arrivavano dall'Inghilterra, ascoltando la musica blues di cui mio padre era un appassionato. A un certo punto mi sono detto: “bah, io ci provo”. Era un periodo in cui c’erano molti fermenti nella musica. Ho raccolto un gruppo di musicisti a cui piaceva il blues e siamo partiti. Ricordo le prime date, con impianti impossibili, ci dicevano: “ma dove volete andare… più di qualche mese non durate.” Da 50 anni siamo ancora qui. Poi ho avuto la grande fortuna di andare a Radio Popolare a fare le notturne tutte di blues; era una cosa impensabile ma ha portato grande visibilità al blues stesso che allora non era molto diffuso.
Ma era difficile, all'inizio?
Sì, tanto. Una cosa che ha aiutato a diffondere il blues è stato “The Blues Brothers” che ha portato questa musica al grande pubblico.
Eppure nella seconda metà degli anni ’70 il blues ha vissuto un bel momento. Era legato molto ad una certa area politica e culturale…
In quegli anni una parte del pubblico è arrivata a capire quello che già sapevo da tempo, cioè che il blues ha dei valori che erano più vicini a un certo serbatoio politico. Il blues è riscatto sociale, rispetto, il rispetto per il prossimo, per l'ambiente, racconta dei difficili rapporti uomo-donna cantati dalle grandi leggende al femminile.
Oltre alla TBB quali erano i “campioni” del blues italiano nel periodo d’oro?
Tutti i miei carissimi amici che non ci sono più, Guido Toffoletti, Roberto Ciotti, Rudy Rotta. Al limite anche il primo Bennato che faceva blues e poi il grande Pino Daniele. Era una “scena” molto attiva, senza rivalità o invidia, con un grande gusto della collaborazione, con la voglia solo di fare buona musica blues.
C’è qualcuno a cui sei in qualche modo debitore?
Due sono le persone a cui sono grato: Renzo Arbore e Claudio Trotta. Arbore mi ha portato in grandi trasmissioni Tv come “L’altra domenica” (1976/79), “Indietro tutta” (1987/88) e “Doc” (1987/88). Arbore mi ha definito giustamente “un cocciuto propagatore del blues”. Poi c’è Claudio Trotta, promoter, con cui ho prodotto anche un disco e che mi ha fatto conoscere molti artisti a cui ho aperto i concerti. Ci divide solo la “fede” calcistica. Lui è nerazzurro… E poi c’è la stampa, che ha appoggiato il mio lavoro.
Qual è stato il tuo ruolo nella diffusione del blues in Italia?
Questa è una cosa che mi dà molta soddisfazione: la gente mi riconosce come padre del blues made in Italy. Questo perché la mia passione mi ha portato a spingere sempre di più, attraverso i concerti ma anche con la diffusione mediante le radio e anche i due libri che ho scritto sul blues. E ancora adesso mi dà soddisfazione vedere che il pubblico continua ad arrivare ai concerti. Evidentemente siamo riusciti a far capire che cos'è il blues e appassionare la gente.
Avresti mai pensato di arrivare a questo traguardo?
Assolutamente no! Ci sono però alcune cose che ci tengo a ricordare su questi anni di carriera, su questo traguardo. La prima è di aver portato il blues in posti dove c'è veramente tanta sofferenza e tristezza. Io non l'ho mai pubblicizzato però sono andato all'unità spinale di Niguarda (ospedale milanese), tra i ragazzi paralizzati dalla cintola in giù. Ho portato la mia musica al Piccolo Cottolengo, all’Istituto dei Tumori e nelle tre carceri di Milano, San Vittore, Bollate e Opera. Ogni tanto incontro gente che mi dice di avermi visto in queste occasioni, e questo mi rende felice. Mi chiedo se è meglio essere riconosciuto per questo o perché sei stato in Tv a fare X Factor o da Maria De Filippi. L’altra cosa che ho sempre coltivato è la passione artigianale per il mio lavoro, andando oltre gli schemi classici della discografia o del rapporto con il pubblico, aspetto quest’ultimo che curo direttamente, comunicando di persona con la “fan base”. Ecco, forse anche questi elementi mi hanno permesso di arrivare sino qua.
Questi sono i momenti belli. Ma momenti difficili ci sono stati?
(Ci pensa un po’) No, non ne ricordo. Sì, forse qualche problema nei concerti o con gli organizzatori ma normali screzi e dinamiche professionali.
Quindi rifaresti tutto?
Al 100%, e senza rimpianti.
Si dice sempre che il blues, per le sue origini, sia una musica legata alla tristezza, perché arriva dalla sofferenza, però allo stesso tempo è una musica che regala forti momenti di aggregazione e condivisione. È così?
Condivido appieno quello che dici, perché se uno fa mente locale il blues lo trovi spesso associato nei film a momenti diversi, che possono essere un inseguimento in macchina dopo una rapina o una scena d’amore. Se nasce come musica di quelli che devono spaccare le pietre o raccogliere il cotone, si è poi trasformata in colonna sonora del riscatto sociale, del raccontare la bellezza, dell’innamoramento e della magia dei rapporti. Il blues è la musica di tutti i giorni, è la musica della musica, del sottofondo musicale, c'è la vita mia, tua, di quelli là o di questi qua, perché chi di noi non ha avuto un momento di tristezza, oppure a chi non è capitato di piangere per la felicità? Il blues ti può accompagnare in tutti questi aspetti della vita, il blues li racconta. E poi il blues ha dato vita evolvendosi, mischiandosi, a tanti altri generi, è alla base del rock.
Come sta il blues in questo momento?
Bene, molto bene. Ci sono parecchie cose interessanti sia in Italia che all’estero. Qui da noi suggerisco i Lovesick Duo, li considero i miei figliocci, hanno un giusto approccio e la visione corretta del blues che condividiamo.
Senza fare l’agente del Fisco: ci si vive, con il blues?
No! Io per quaranta anni ho fatto il fotografo e l’insegnante di fotografia e di sostegno. Ma nel mondo sono pochi i musicisti blues che possono dire di aver vissuto solo di musica: BB King, Muddy Waters, Eric Clapton, John Lee Hooker, Joe Bonamassa e pochi altri, tutte star. Gli altri, per quanto grandi siano, hanno dovuto fare sempre altro per vivere dignitosamente.
Stai per partire per un tour celebrativo dei 50 anni. Le prime date saranno in compagnia di Lou Marini, il sassofonista, tra l’altro, della Blues Brohers Band. Come arriva questo incontro?
Innanzitutto dalla stima nei suoi confronti. Sapevamo, attraverso amici comuni, che doveva venire in Italia. Tramite Alex “Kid” Gariazzo, il chitarrista della TBB, abbiamo preso contatto per proporgli la cosa, e quando ha visto le mie foto con Springsteen, Zappa e i tanti altri con cui ho collaborato ha capito che cosa e chi sono. Non c'era bisogno di mandare brani, ha detto OK. Ora facciamo queste tre date che aprono il tour, e che secondo me portano buono perché basta pensare a quante migliaia di persone l'avranno visto suonare il sax quando c'è Aretha Franklin che canta in “Blues Brothers”. Anche quella con lui è un’altra collaborazione di cui vado molto fiero. La partecipazione che mi dà più piacere però è quella con Frank Zappa, ma anche con i Deep Purple che ci hanno fatto tantissimi complimenti.
Avrete altri ospiti?
Francamente spero che questo tour sia all'insegna di tanti grandi ospiti. Per i 40 avevamo riempito l’Auditorium di Milano con una festa piena di amici. Vedremo.
Come chiudiamo?
Con la solita frase che dico sempre: “blues alle masse”
Questo il calendario delle prime date con special guest Lou Marini
Domenica 18 febbraio 2024 Ponte Dell’Olio (Pc) – Athena Music Club
Giovedì 22 febbraio 2024 Ranica (Bg) – Druso
Venerdì 23 febbraio 2024 Erba (Co) – Teatro Excelsior