Gli Europe nel 2023 celebreranno i loro quaranta anni di carriera. Per festeggiare tale traguardo la band svedese si imbarcherà nel 'Time Capsule Tour', che farà tappa anche in Italia. A questo proposito il frontman del gruppo svedese, Joey Tempest, è stato intervistato da Classic Rock. Tra le altre cose ha parlato diffusamente di “The final countdown”, la canzone che, uscita nel 1986, regalò agli Europe un travolgente successo internazionale. Qui a seguire alcuni stralci della conversazione.
A metà degli anni Ottanta, quando i lettori di Smash Hits discutevano su quale band fosse la più carina – Europe o Bon Jovi – cosa pensavi?
Che fosse una vera sorpresa per questi ragazzi della periferia di Stoccolma. Avevamo fatto due album, ma poi è iniziata la promozione di “The Final Countdown” e improvvisamente eravamo su tutte le riviste per ragazzini. Il mio proposito era quello di voler assomigliare a Robert Plant. Fin dall'inizio volevamo essere una rock band itinerante come i Deep Purple, all'improvviso le riviste pop ci facevano delle stupide domande. Non ce lo aspettavamo. Per un po' è stata una seccatura, ma siamo svedesi, lavoriamo sodo e non ci lamentiamo.
Ti sei mai chiesto quanto sarebbe stata diversa la vita per gli Europe senza “The Final Countdown”?
Qualche volta. Con “Wings Of Tomorrow” (il secondo album degli Europe del 1984, ndr) sapevamo che avevamo preso la strada giusta, ma non avremmo mai potuto sognare quello che ci avrebbe dato quella canzone. Gruppi rock come Def Leppard e Iron Maiden avevano aperto molte porte e per un breve periodo siamo stati la più grande band del mondo. Improvvisamente suonavamo ai festival con i Duran Duran.
Dalla sua uscita hai mai fatto un'intervista in cui “The Final Countdown” non fosse tirata in ballo?
Non credo. Anche in un'intervista incentrata su un'altra canzone ci sarebbe un riferimento a “The Final Countdown”.
Cosa ti passa per la mente quando canti quella canzone per la decimilionesima volta?
A quel punto del set non pensiamo davvero a quante volte l'abbiamo già suonata. È una canzone "nel momento" perché unisce tutti. Per chi osserva la gente è un'opportunità mandata dal cielo perché può essere un momento da non perdere. È vero. La mia famiglia a volte è sul palco e gli piace sempre guardare il pubblico. Quando suoniamo a festival più heavy come Bloodstock o Hellfest, unisce persone di tutti i tipi, il che è sorprendente.
Nel prossimo album la band potrebbe tornare a suonare nello stile più melodico alla “The Final Countdown”?
Sai cosa? Se avessimo avuto questa conversazione dieci anni fa sarebbe stato del tutto impossibile, ma abbiamo raggiunto un punto in cui non è più così, la cosa bella è che è successo in modo del tutto naturale. Mi sto accorgendo che la mia scrittura è tornata alle radici, sono tornati gli elementi melodici legati a quell'epoca. Lo trovo abbastanza emozionante perché non è premeditato. Se avessi proposto di "fare un album anni Ottanta", John (Norum, il chitarrista), John (Levén, il bassista), Mic (Michaeli, il tastierista) e Ian (Haugland, il batterista) mi avrebbero sparato.
Quale consiglio darebbe il cinquantanovenne Joey al ventenne che si preparava a pubblicare l'album d'esordio degli Europe?
Gli direi di rilassarsi un poco, forse anche di abbassare la tonalità di alcune canzoni. Perché le abbiamo registrate così alte? Le devi cantare per i prossimi quarant'anni.