Secondo me Lucio Battisti a un certo punto si è voluto lanciare in una gara con se stesso. Da personaggio parimenti talentuoso e ambizioso ha voluto portare le sue canzoni a un grado di perfezione e successo come mai era stato prima, e ha deciso che finché non ce l'avesse fatta non avrebbe avuto pace. Nel 1972 ce la fa. A quel punto che succede? Raggiunto l'apice degli apici, non temendo concorrenza da alcun punto di vista quale poteva essere la mossa successiva? La soluzione al quesito la scopriremo, per ora concentriamoci sull'apice.
Dal suo primo singolo del 1966 Battisti persegue una sua personale idea di canzone, legata a doppio filo con la tradizione melodica italiana ma con molto altro dentro. Ogni sua creazione ha invenzioni armoniche, vocali e di arrangiamento sbalorditive, all'avanguardia, che ancora oggi lasciano stupefatti per la modernità. Se al tutto si aggiungono i testi di Mogol la pietanza si fa perfetta, perché se si parla di modernità quello che il paroliere ha messo in atto è proprio uno scardinare le barriere del tempo e rendere la sua filosofia dei sentimenti un qualcosa che ieri come domani sarà sempre attuale. Cito solo un brano che riassume il tutto: "Non è Francesca".
La scalata di Lucio è stata inesorabile, i suoi due primi album-raccolta sono colmi di tutte le hit che qualsiasi musicista sognerebbe di comporre e piazzare. Battisti per l'Italia è ciò che i Beatles sono stati per il mondo, e i brani di quei due primi dischi sono lì a dimostrarlo. Arrivato a tali livelli pensa un po' a divertirsi, nasce così l'esperimento di "Amore e non amore", singolare fusione tra torrido r'n'b e bozzetti strumentali. Da un certo punto di vista un capolavoro, dall'altro un pastrocchio. Poi, nell'aprile 1972, arriva "Umanamente uomo: il sogno", che torna alla classica canzone made in Lucio e ricomincia la scalata. La vista è ampia e limpida: I Giardini di Marzo ed E penso a te si ergono ad altezze colossali. Nel disco c'è anche un po' di psichdelia e prog rock ma la ricerca di nuove soluzioni sonore è adombrata da quelle perfezioni.
Solo sette mesi dopo si giunge a "Il mio canto libero", ora la tensione è ai massimi livelli, la penna battistiana freme, si può fare ancora meglio dei due capolavori citati? Fare addirittura meglio di tutto quanto pubblicato finora? Per Lucio si deve. Nel nostro mondo ci sono stati Bach, i Beach Boys, i Beatles, Prince... Musicisti che sono riusciti a intravedere mondi sovrasensibili e hanno riportato sullo spartito tali visioni. A loro si aggiunge Lucio Battisti, quando un artista è in grado mettere nello stesso disco cose come "La luce dell'est", "L'aquila", "Vento nel vento", "Io vorrei... non vorrei... ma se vuoi" e "Il mio canto libero" si fa chiaro che questi ha spinto al massimo le sua capacità, ha avuto in dono dalla vita il sapere esplorare quelle zone assolute. Non dico che siano i brani più belli di Battisti, dico che sono frangenti nei quali si comprende in maniera vivida quanto egli sia cresciuto come compositore, lasciando l'ascoltatore attonito come davanti a una meraviglia della natura, che quasi ti schiaccia tanta è la potenza e il mistero che emana. Una volta Brian Wilson parlò (riferendosi a Smile) di «Sinfonie tascabili a Dio», esattamente come molti dei brani di "Il mio canto libero", veri inni di libertà artistica in pochi minuti, dotati di strofe e ritornelli che creano un divino pop orchestrale, nel quale ogni nota è quella giusta, con perfette architetture acustiche, accordi inaspettati, arrangiamenti certosini, melodie ariose di incontaminata bellezza messe in campo da una voce perfetta nella sua imperfezione.
Se però si trattasse solo di una manciata di grandi brani non sussisterebbero differenze rispetto al recente passato. Il fatto è che in "Il mio canto libero" i brani sono tutti ottimi, anche quelli apparentemente più scanzonati come "Confusione" e "Gente per bene e gente per male". Nel suo insieme l'album suona più compatto dei precedenti, divaga meno, non è una raccolta di 45 giri, non è un bel pastrocchio e non cerca (ancora) nuovi sbocchi, è semplicemente lo stato dell'arte della pura canzone battistiana nonché il disco più maturo partorito fino a questo momento da Lucio. Sul tutto un Mogol che prosegue e rafforza il suo scavo nel sentimento amoroso, e nessuno osi dire che egli fosse un maschilista: le canzoni di "Il mio canto libero" sono fotografie dell'universo femminile in tutte le sue sfaccettature, restituendo l'immagine di donne che sanno assolutamente quello che vogliono e se lo prendono, vedi la protagonista di "Luci-ah". Semmai è il maschio a farci spesso una magra figura, per la sua indole confusa e pavida.
Dopo i risultati di un disco del genere le strade sono due: Battisti può tranquillamente smettere di fare musica o mettere in atto un cambiamento, o almeno l'inizio di un cambiamento. Archiviato "Il mio canto libero" ci sarà un altro Lucio, sempre più curioso di sperimentare con suoni, generi e linguaggi, sempre più inquieto nella sua ricerca che ancora per qualche anno porterà a casa eclatanti risultati artistici e di vendite salvo poi erompere nella supernova panelliana, frangente nel quale il nostro dimostrerà di essere andato veramente oltre, addirittura oltre se stesso.
La copertina di "Il mio canto libero"
Quando dovetti fare questa foto chiamai a raccolta tutti gli artisti della Numero Uno con mogli a seguito, c’era da Lucio con consorte a mio fratello che non era del gruppo ma era grande amico, c’erano da Oscar Prudente a Alberto Radius, la mitica Antonella Camera con Mara Maionchi. Quando misi la macchina fotografica per fare l’inquadratura mi accorsi che c’era un problema, un grosso problema, la distanza della testa dalle mani alzate sacrificava l’inquadratura, non c’era altra soluzione che farli sdraiare. Non fu facile perché tenere le braccia in quel modo per molto tempo era faticosissimo poi c’era da metterli in posizione, presi dallo sfinimento nell’ilarità generale si scatenavano le battute. Si passò quindi alle gambe e qui la storia si fece seria, per leggerezza non avevo avvertito che dovendo dare la sensazione che le persone fossero nude, sarebbe stato necessario togliersi i pantaloni le scarpe le calze e le gonne. Per quanto riguardava le donne non ci fu problema, le ragazze non fecero una piega si tolsero ogni cosa che creasse impedimento; per gli uomini fu una lunga ed estenuante trattativa, forse anche perchè qualcuno non si era cambiato le mutande. L’immagine che ne uscì raccontava lo spirito dell’etichetta oltre al contenuto del disco.
(da cesaremonti.blogspot.com)
"La copertina di 'Il mio canto libero', l'immagine delle braccia e delle gambe, tanto per capirci, in realtà doveva essere realizzata, nel progetto originario, su una busta completamente trasparente, di materiale plastico, in modo tale che la punta delle mani e la punta dei piedi, una volta tolto il disco, si toccassero, perchè avevi tolto l'uomo, che per me era raffigurato dal disco.
Il significato era proprio quello e cioè che la rappresentazione del corpo umano era costituita dal disco, contenuto dentro a questa copertina trasparente.
Non la facemmo così un po' perché era piuttosto complicato e costoso realizzarla materialmente, un pò perchè per quei tempi era troppo originale, troppo avanti, troppo concettuale come tipo di immagine, anche se a Mogol l'idea era piaciuta moltissimo, per cui poi decidemmo di mettere la foto con i piedi all'interno e quella con le mani sull'esterno della copertina apribile".
(Cesare "Monti" Montalbetti, da "Pensieri e parole" di Luciano Ceri - 1996)
Quando nel 2005 progettai il CD "BandaBattisti", suonato dal Corpo Musicale Alfonso Raineri di Rodengo Saiano (in cui la banda suona in versione strumentale 11 canzoni di Lucio Battisti, con gli arrangiamenti di Giorgio Tonelli e Alessandro Alexovitz), immaginai - con l'approvazione divertita di Cesare Monti - una copertina-tributo a quella di "Il mio canto libero". Con la paziente e professionale assistenza di Pierangelo Mafessoni, Gabriele Boschi e Camilla Giacomelli, realizzammo questa copertina in cui i componenti della banda, con le braccia alzate, sorreggono i loro strumenti. L'autografo è di Mogol. (fz)