Pink ci ricorda che la vita è anche dubbi, pillole e analisi

La carriera della musicista nativa della Pennsylvania è praticamente sempre in ascesa

Alicia Beth Moore in arte Pink è salita alla ribalta all'inizio degli anni 2000 con un fortunato album d'esordio, "Can't take me home" (leggi qui la recensione), trainato dal singolo "There you go". Se si esclude il breve periodo di crisi attraversato tra il 2009 e il 2010 (per uscire dallo stallo Pink pubblicò la raccolta "Greatest hits... So far!!!, con il singolo "Raise your glass", che la rilanciò), la carriera della cantante è stata praticamente quasi sempre in ascesa e oggi che compie 43 anni è una delle musiciste più affermate della scena musicale statunitense. Il suo ottavo e ultimo album, "Hurts 2B Human", risale al 2019. Nell'attesa di un nuovo disco vi invitiamo a rileggere la nostra recensione della sua ultima fatica discografica.

La frase “Hurts 2B human” non è forse il riassunto efficace di una parte del repertorio di P!nk? Non è forse il minimo comun denominatore di canzoni che parlano di famiglie disfunzionali, dolore, pillole e relazioni tossiche? “Hurts 2B human” è anche il titolo dell’ottavo album della cantante americana. L’esuberanza del singolo “Hustle” non tragga in inganno: il disco è metà strada fra pop contemporaneo e canzone tradizionale, fra timbri digitali e suoni acustici, fra vivacità e riflessione. È l’album d’una quarantenne che ha ancora voglia di ballare e che fa i conti con la paura più grande, quella d’essere felice.

Un bel gruppo di autori e produttori affiancano P!nk, dai collaboratori con cui ha già lavorato come Max Martin, Shellback, Nate Ruess (fun.), Greg Kurstin e Billy Mann a nuove firme per lei come Beck, Sia e Dan Reynolds degli Imagine Dragons. Quest’ultimo è co-autore e co-produttore di “Hustle”, una specie di soul digitale che riflette l’ossessione del pop contemporaneo per il gospel. Solo che qui non si parla di fede, ma di carattere. “Don’t fuck with me”, canta P!nk mettendo le cose subito in chiaro.

Se “(Hey why) Miss you sometime” di Shellback e Max Martin ha il piglio festaiolo e la vibrazione metallica del pop contemporaneo, il primo singolo che è stato tratto dall’album “Walk me home” ha una costruzione tradizionale e una melodia che potrebbe stare nel repertorio di una star del country-pop. Nel testo, la cantante chiede d’essere accompagnata a casa mentre i pensieri le affollano la mente e il mondo, là fuori, le sembra pericoloso e ostile.

È un tipo di vulnerabilità che emerge spesso dai testi, ad esempio nella ballata “My attic” in cui un luogo fisico della casa è metafora del mondo interiore dove accatastiamo sentimenti inconfessabili dentro cui ci barrichiamo. Anche qui, elementi di vecchio pop (la chitarra acustica, gli archi, il tono confessionale) si mescolano a tocchi del nuovo pop (il beat, la scelta dei suoni) ed è quello che accade anche altrove creando effetti interessanti come in “90 days”, dove la voce di Wrabel emerge da una sorta di disturbo elettronico.

Wrabel non è l’unico ospite. Khalid mette il suo timbro e il suo tocco nel soul digitale “Hurts 2B human”, ballata delicata sulla necessità di avere al proprio fianco un complice con cui affrontare l’avventura umana, mentre i Cash Cash rendono giocosa e ballabile “Can we pretend” che è scritta fra gli altri da Ryan Tedder degli One Republic. È uno di quei pezzi che ti entrano in testa fin dal primo ascolto. Racconta la nostalgia di una quarantenne per i suoi vent’anni, un tempo in cui si era spensierati, gli amici sembravano sinceri, si ballava sui tavoli e il presidente si chiamava Clinton, non Trump.

I ricordi tornano in “Happy” e si va ancora più indietro, fino ai 17 anni, “quando odiavo il mio corpo e il mio corpo odiava me”. “Hurts 2B human” è anche un disco sul passare del tempo e difatti, poco prima del finale, arriva “Circle game”, ballata classicissima sull’ex ragazza fragile che si ritrova a fare da mamma e combattere con i mostri che escono dall’armadio nella camera della figlia. La piccola la guarda come se fosse una mezza supereroina e lei capisce che “questo è il mio lavoro, adesso”.

Non sempre la presenza di grandi nomi assicura grandi canzoni. “We could have it all”, un pezzo sulle promesse mancate dell’amore scritto con Beck, ha una vaga aria pop West Coast anni ’80 che è sì piacevole, ma non sorprendente. A riprova dell’ampiezza delle passioni musicali di P!nk e delle sue ambizioni, arriva Chris Stapleton che duetta col suo vocione nella ballata country “Love me anyway”. Il bello è che questo slalom da uno stile all’altro è fatto con naturalezza e talento. Anche in “Hurts 2B human” P!nk dimostra d’essere un’interprete espressiva e – pare strano dirlo di una come lei – misurata.

“Ho il coraggio di cambiare?” chiede più e più volte P!nk in una canzone scritta con Sia e Greg Kurstin. “Hurts 2B human” svela ancora una volta i suoi insanabili conflitti interiori. Inizia con l’atteggiamento risoluto della donna sicura di sé, ma svela ben presto l’altra faccia della cantante, quella fragile e riflessiva. In un mondo di pop star che posano da vincenti e ti spiegano come conquisteranno il mondo, P!nk ci ricorda che la vita è fatta anche di dubbi, pillole e sedute con l’analista.

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