E’ scomparso oggi all’età di 57 anni nella sua casa di Killarney, in Irlanda, Mark Lanegan, già leader degli Screaming Trees e figura centrale sul panorama rock americano degli ultimi tre decenni. La conferma del decesso è stata data dalla famiglia direttamente dall’account ufficiale Twitter dell’artista scomparso.
“Apprezzato cantante, cantautore, autore e musicista, aveva 57 anni, e ha lasciato la moglie Shelley”, recita la brevissima nota con la quale è stata data la triste notizia: “Nessun'altra informazione è disponibile in questo momento. Vi chiediamo gentilmente di rispettare la privacy della sua famiglia”.
Da anni titolare di una solida carriera solista, Lanegan aveva debuttato nella prima metà degli anni Ottanta come leader degli Screaming Trees, band che seppe conquistare una vasta credibilità sul panorama alternative americano di fine millennio - tanto da arrivare a farsi produrre la propria quinta prova in studio (e prima su major) “Uncle Anesthesia” da Chris Cornell, che nello stesso anno - il 1991 - avrebbe pubblicato con i Soundgarden “Badmotorfinger”, uno dei titoli che lanciarono Seattle come capitale mondiale del rock grazie al movimento grunge.
“The Winding Sheet”, il suo primo album solista pubblicato un anno prima, nel 1990, nacque sempre nel medesimo humus, più precisamente da un progetto di collaborazione con il leader dei Nirvana Kurt Cobain e il bassista della band di “Smells Like Teen Spirit” Krist Novoselic, che di lì a poco avrebbero conquistato il mondo con “Nevermind”. Non a caso Lanegan prese parte a quella che, a ragione, può essere considerata una delle espressioni più concrete della scena grunge, ovvero “Above” del 1995, l’unico album dei Mad Season, supergruppo animato da Layne Staley degli Alice in Chains, Mike McCready dei Pearl Jam, John Baker Saunders dei Walkabouts e il suo compagno di band Barrett Martin.
Terminata l’epoca d’oro della scena di Seattle, Lanegan proseguì con successo a registrare album in proprio: alle session di “Bubblegum” del 2004 presero parte star come PJ Harvey, Greg Dulli degli Afghan Whigs, Duff McKagan e Izzy Stradlin dei Guns N’ Roses e Josh Homme e Nick Oliveri dei Queens of the Stone Age. Proprio gli alfieri californiani dello stoner, nati dalle ceneri dei Kyuss, rappresentarono una parte importantissima della carriera dell’artista nato a Ellensburg, stato dello Washington, nel 1964: per ben quattordici anni, dal 2000 al 2014, Lanegan militò con regolarità nella band di “Villains”, prendendo parte alle session di registrazione di “Rated R” (2000), “Songs for the Deaf” (2002), “Lullabies to Paralyze” (2005), “Era Vulgaris” (2006) e “...Like Clockwork” (2013).
Impegnato con i Gutter Twins di Greg Dulli negli anni Duemila e titolare di un fruttuoso sodalizio artistico con la già voce dei Belle & Sebastian Isobel Campbell (concretizzatasi nella pubblicazione di tre dischi, “Ballad of the Broken Seas” del 2006, “Sunday at Devil Dirt” del 2008 e “Hawk” del 2010), negli ultimi anni Lanegan è stato protagonista di innumerevoli collaborazione che l’hanno visto lavorare a fianco di, tra gli altri, gli UNKLE di James Lavelle, Slash, Massive Attack e Moby.
Il suo ultimo featuring di peso è stato quello per la parte vocale di "Blank Diary Entry", brano pubblicato dai Manic Street Preachers nell’album dei 2021 “The Ultra Vivid Lament”.
Lanegan ingaggiò diverse lotte con dipendenze da alcol ed eroina già dai primi anni Novanta: dopo essersi sottoposto a terapie di disintossicazione tra la metà degli anni Novanta e quella dei Duemila, l’artista aveva abbandonato da oltre un decennio le sostanze stupefacenti e la bottiglia. Sposatosi con Shelley Brien nel 2020, il cantautore si era trasferito nello stesso anno da Los Angeles nelle contea di Kerry, dove nel marzo del 2021 aveva rischiato la vita dopo aver contratto il Covid-19: la brutta avventura con il virus da SarS-Cov-2 era stata raccontata da Lanegan nel suo ultimo libro di memorie, “Devil in a Coma”, pubblicato lo scorso anno.