Buona parte dei pregi zeppeliniani della canzone derivano dal fraseggio delle percussioni, su una cornice scomodamente simile a “Ooh! My Head” di Ritchie Valens. Ecco perché un quarto dei crediti della canzone vengono intestati alla madre del giovane cantante scomparso quindici anni prima, appena diciassettenne, nello stesso incidente aereo in cui aveva perso la vita Buddy Holly.
La caratteristica parte di piano è opera di Ian Stewart, tour manager e collaboratore dei Rolling Stones. Il boogie-woogie di Stewart domina incontrastato in questa jam session del 1971, anche se Page tiene il passo con il suo mandolino country blues, mentre Robert suona qualche giro sulla chitarra acustica. La jam improvvisata prende vita mentre la band sta allestendo lo studio mobile dei Rolling Stones a Headley Grange in preparazione alle sessioni per il quarto album. Un piano presente sul posto, secondo Jimmy, era “completamente insuonabile”, eppure Stewart riesce a farlo funzionare (come aveva fatto in “Rock and Roll”).
La canzone, all’inizio ribattezzata scherzosamente “Sloppy Drunk”, termina con Bonham che viene lasciato a suonare da solo le sue percussioni. Scoppiano le risate e, dopo qualche frammento di conversazione, si passa alla traccia successiva.
Domani scriveremo di “Black country woman”.
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I testi sono tratti dal libro di Martin Popoff “Led Zeppelin. Tutti gli album – Tutte le canzoni”, pubblicato da Il Castello, per gentile concessione dell’editore; al libro rimandiamo per la versione integrale dei testi di presentazione delle canzoni di “Physical Graffiti” e di tutti gli altri album dei Led Zeppelin.