Johnny Marr esce sul palco, e subito si mette in posa plastica con la sua chitarra, di fronte al pubblico del Fabrique di Milano, con il riff di "The tracers", che poi sfocia in "Bigmouth strikes again": le due canzoni, quella nuova e il classico, sembrano fatte per stare assieme da sempre. Il migliaio di persone presenti canta in coro, ed è già conquistato in pochi minuti.
Il suo ex compare, Morrissey, negli ultimi anni ha fatto di tutto per farsi odiare. Johnny Marr, invece, ha fatto di tutto per farsi amare: ha recuperato il repertorio degli Smiths - comprese quelle canzoni che Moz non canta da anni. Dopo anni di collaborazioni e altre band, ha lanciato nel 2013 una carriera solista coronata da "Call the comet", basato proprio sul recupero di quel sound, in modo talvolta smaccato, ma sempre impeccabile.
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Impeccabile e amabile, Johnny Marr lo è anche stastera: 100 minuti di puro e semplice pop-rock, con una scaletta costruita sui classici della sua ex band, mischiati con un paio di pezzi degli Electronic (il gruppo formato con Bernard Sumner dei New Order negli anni '90) e brani solisti. Non sfigurano in scaletta, anzi, sia quando citano il passato ("High hello" sembra uscita da "The queen is dead"), sia quando ammiccano più al presente (lo strano beat di "New dominions").
Non serve altro che basso e batteria e chitarra, quel suono, unico. Basta anche lui: il chitarrista è ora anche un frontman, che tiene il centro del palco in maniera efficace, tra riff, assoli e microfono: canta pure bene. Certo, la sua voce non è paragonabile a quella di Morrissey, ma è dritta, pulita: pur con i suoi limiti, funziona. Per chi è cresciuto con quelle canzoni, è un colpo al cuore sentire i riff di "The Headmaster Ritual" o "How Soon Is Now?", e persino quello di "This charming man", che Marr accenna su richiesta, ma interrompe subito, dicendo "non me la ricordo", sorridendo.
Il finale è perfetto: due brani dell'ultimo disco, "Bug" e "Rise" e poi LA canzone, "There is a light that never goes out", che Marr allunga, ripetendo più volte quel verso perfetto, "And if a double decker bus crashes into us...", restituendolo al pubblico, che lo canta in coro in maniera liberatoria, mentre lui si gode lo spettacolo, soddisfatto.
C'è ancora tempo per una canzone, "You just haven't earned it yet, baby". Ma l'ascolto di queste canzoni ce lo siamo meritati: Marr ha costruito un concerto fatto per gratificare il pubblico, ma senza essere troppo nostalgico: a 55 anni ha il fisico e il piglio di un ragazzo, e scrive ancora canzoni notevoli. Si è ripreso quello che è suo, la sua parte di merito nella costruzione di un suono unico e di un mito, e lo ha offerto al pubblico. Un gran bel concerto, una serata di rock 'n' roll senza fronzoli.
(Gianni Sibilla)