Edoardo Rossi - ROLLING STONE. IL TEMPIO DEL ROCK A MILANO - la recensione

Recensione del 18 mar 2015

Voto 6/10
L'espressione "Il tempio del rock a Milano" è persino riduttiva: il Rolling Stone, per quasi 30 anni, è stato il luogo di riferimento per un genere di musica - e non solo in città. Se ascoltavi quella musica, e arrivavi da fuori, era uno dei primi luoghi della città che andavi a visitare, una sorta di pellegrinaggio in corso XXII Marzo - che con ogni probabilità si trasformava poi in una frequentazione assidua.

Il Rolling Stone ha chiuso nel 2009: al suo posto ora c'è una facciata di marmo, e la scritta "Stone tower": una sorta di palazzo racchiuso in un altro palazzo, al posto del capannone che si proiettava all'interno del condominio che ospitava il locale. Se si ascolta rock e si è passati da Milano, si ha sicuramente almeno un ricordo personale legato al Rolling Stone; con ogni probabilità se ne ha molti: un concerto, una serata, un incontro.
Questo libro racconta la storia di quel locale e raccoglie molti di quei ricordi, partendo dalle persone, ricostruendo i loro percorsi, e ricordando tutti gli artisti che sono passati da quelle parti. Nella prima parte Edoardo Rossi (già speaker di Rock FM, di cui ha raccontato la storia in un libro), ricostruisce le vicende del locale, dalla fondazione di Enrico Rovelli (che poi sarebbe diventato anche manager di Vasco Rossi), agli avvicendamenti di gestione, fino alla chiusura. Il tutto intervistando i diretti protagonisti delle sue vicende e frequentatori eccellenti come Jovanotti - spesso mischiando i ricordi personali agli eventi e alla musica. Dopo un inserto fotografico a colori, l'ultima parte raccoglie una serie di testimonianze dirette di addetti ai lavori e frequentatori, gente che, come l'autore, quella storia l'ha vissuta in diretta e ha aneddoti notevoli da condividere.

Quella del Rolling Stone è una bella storia da raccontare, che va oltre il locale e oltre Milano. Il libro lo fa in maniera efficace, lavorando su fonti originali, solo ogni tanto cedendo ogni all'inevitabile entusiasmo del ricordo, e con qualche imprecisione o scelta discutibile (per esempio sulla grafia dei nomi delle band straniere). Ma, a parte questi dettagli, è una storia da leggere tutta d'un fiato: è uno spaccato della musica in Italia, la testimonianza di un periodo in cui una generazione si è formata alla musica, sul campo: quello di corso XXII marzo, appunto.

(GS)

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