Nella prefazione, Battiato scrive di aver sempre notato una “eccellenza segreta” di Messina, cioè la scrittura. Opinione condivisibile, giacché il libro è di piacevolissima lettura, e quindi assai ben scritto. Ovvio che gli estimatori di Battiato, quorum ego, non solo riconosceranno la citazione dal testo di “Sequenze e frequenze” che intitola il libro, ma saranno contenti di poter guardare un po’ da dietro le quinte certi episodi della carriera del musicista di Jonia. Ma va detto che nel libro c’è molto di più: c’è soprattutto l’esposizione, per nulla didattica, e anzi avvincente, di quell’approccio all’arte al servizio dell’arte che è l’essenza del lavoro di Messina; il quale, senza spocchia ma anzi spesso ricorrendo a una sorridente (quasi vezzosa) vena autocritica, ci aiuta a capire certe scelte che non appaiono così comprensibili a chi non bada granché a quanto sta fuori e intorno a un disco. Non sarei io se tacessi di certe distrazioni nella correzione delle bozze; ma pur volendone, a Francesco Messina, per una ragione inconfessabile esplicitamente (la si trova accennata a pagina 45: cercatela e capirete perché lo invidio) non mi spingerò, come ho fatto in altri casi, a stilarne un elenco puntiglioso - che tengo comunque a disposizione dell’editore in caso di, auspicata, ristampa. Cito solo due distrazioni divertenti: una a pagina 76 (“il chiodo andava battuto caldo”) e una a pagina 214, in cui “apriti Sesamo” viene riferito, anziché ad Aladino, al “prode Saladino” – ma questa è così graziosa e quasi enigmistica che fingo di crederla voluta. E segnalo che a pagina 5, nella prefazione, Battiato scrive "Ho conosciuto Francesco Messina nel 1975"; e a pagina 6 Messina scrive "Ho incontrato Franco nel 1974". Beh, mettetevi d'accordo...
(Franco Zanetti)