Paolo Merenda - IL MUSICISTA UNDERGROUND - la recensione

Recensione del 15 dic 2014

Voto 6/10
Dalla narrativa/fiction alla manualistica. Ed è così che ritroviamo Paolo Merenda, musicista del sottobosco italico punk/hardcore che, questa volta, ha deciso di raccogliere le proprie esperienze per stilare una sorta di prontuario “for dummies” dedicato ai musicisti alle primissime armi vogliosi di gettarsi nel calderone del do it yourself.

Che dire... chiunque abbia avuto un gruppo, anche solo per qualche mese, probabilmente qui non troverà molto che non abbia mai visto o sentito. Diciamo che si tratta di un testo indirizzato davvero a chi è alle primissime armi – e, a onestissimo parere dello scrivente, anche un po’ sfocato a tratti. Perché principalmente si adotta una prospettiva molto fai-da-te integralista (e va benissimo), ma poi ci sono sfasamenti verso punti di vista e pratiche più mainstream (il ricorso a un “assistant songwriter”? Ma non è un po’ troppo corporate come angolazione?) che danno un effetto distopico, poco in linea con l’etica del DIY preponderante. Ma queste magari sono solo fisime del sottoscritto. Quindi lasciamole da parte

Il fatto più macroscopico invece è che la manualistica, in questi ambiti, è sempre un passo pericoloso, che rischia di avere subito un retrogusto di presunzione poco piacevole, anche quando si parte con le migliori intenzioni come nel caso di Paolo. Anzi, il punto è che – probabilmente – il risultato sarebbe stato portato a casa in maniera più godibile e netta se, anziché impostare il tutto come un “libro che ti spiega come si fa a provare a fare il musicista underground di successo”, il focus fosse stato un caro e vecchio resoconto in prima persona – magari un po’ autoironico – di ciò che si è fatto e del come lo si è fatto, errori e svarioni compresi (anzi, soprattutto quelli, che sono la scuola migliore).

I consigli, per la maggior parte, sono sensati e corroborati da un’innegabile esperienza sul campo. Ma quello che probabilmente difetta, purtroppo, è la modalità di presentarli e dare un appeal al pubblico a cui è teoricamente indirizzato il libro: ossia chi non ha nessuna conoscenza o quasi dell’argomento e che ha – necessariamente – bisogno di qualche aggancio semplice e immediato per essere catturato. Come, magari, un nome di richiamo o quasi (spiego: il sedicenne che ha una vaghissima infarinatura e conosce sì e no cinque gruppi per sentito dire se in libreria o a un concerto vede “Il musicista underground” di Paolo Merenda e a fianco “Impara a riconoscere le birre con Zazzo dei Negazione”, oppure “100 colazioni in tour con Cristina Scabbia” [perdonate l’angolo della cazzoneria - ndAndrea] cosa sceglierà?). La dimensione autobiografica e autoironica, invece, sarebbe stata perfetta e – conoscendo le doti di Merenda – è facile aspettarsi che avrebbe fatto un buon lavoro anche utilizzando la chiave più leggera e meno manualistica. Del resto, se non si ride delle nostre avventure e sventure, cosa ci resta?

(Andrea Valentini)

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