In altre parole: questa di Spitz non è una biografia, ma quasi un’arringa in difesa dei meriti – e senza tacere i demeriti – di Mick. L’avvocato si è documentato bene, facendo interviste e compulsando archivi: e la sua conclusione, signori della Corte, è che bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare e a Mick quel che è di Mick. Non aspettatevi, dunque, una biografia canonica; semmai un ritratto stereoscopico dell’uomo e dell’artista Jagger, dei suoi rapporti con la band, i colleghi, i rivali, i media, e le donne (molte donne, a dispetto della “rivelazione” di Keith in “Life” secondo la quale Mick ce l’avrebbe piccolo – evidentemente lo sa usare bene).
Un buon libro, indipendentemente dall’assunto, che può essere condiviso o no. Unica pecca: una traduzione diligente ma piuttosto scolastica e impacciata, e poco brillante. (fz)