La sua storia viene raccontata assieme a Michael Azzerard, firma del giornalismo musicale (e autore di "Our band could be your life", seminale - sì, davvero seminale - libro pubblicato in Italia l'anno scorso con il brutto titolo di "American indie"). Ed è una storia che vale la pena leggere.
Soprattutto perché è uno spaccato di come funzionavano i circuiti musicali tra anni '80 e '90 - tema a cui è dedicata la prima parte del libro. Perché per i fan ci sono un sacco di dettagli inediti, come il racconto dello scioglimento degli Husker Du, avvenuto a seguito delle tensioni tra Mould e l'eroinomane alter ego Grant Hart. Ma avvenuto a casa dei genitori di quest'ultimo, con la madre di Hart che suggeriva alla band di lavorare solo nei weekend. Gli Husker Du furono la prima band "indie" a firmare per una major, con anni di anticipo su un trend che sarebbe esploso negli anni '90 con il grunge.
Mould racconta il tutto senza eccessive autoindulgenze, spiegando, analizzando: ne esce il ritratto, per sua stessa ammissione, di una persona con problemi psicologici dovuti ad un'adolescenza fatta di abusi e di un padre violento gli è costata una tendenza alla depressione e manie ossessive compulsive che poi, come nella miglior tradizione artistica sono alla base della sua musica.
La prima parte della biografia è incentrata soprattutto sul percorso musicale, sulla storia degli Husker Du e della loro fine, fino all'arrivo ad un successo ancora più grande negli anni '90. Tutto cambia con un'intervista di Spin negli anni '90, quando gli Sugar erano al massimo della popolarità, che costrinse Mould al "coming out": la sua omosessualità - mai negata, sempre accettata, ma neanche mai esibita - diventa pubblica. E anche Mould si immerge di più nella "gay culture". A questo punto cambia anche un po' il libro: il tema, che nella prima parte viene discusso ma in second'ordine alla musica, da qui in poi diventa quello principale.
Insomma, una bellissima lettura, una bellissima autobiografia musicale. Sicuramente meno scoppiettante di quella di Keith Richards, per fare un paragone recente, ma non meno intensa.