Baker, Chet - COME SE AVESSI LE ALI - LE MEMORIE PERDUTE - la recensione

Recensione del 14 lug 1998

"Andy, Dio lo benedica, fu anche la prima persona a farmi fumare l’erba. Mi piaceva moltissimo, e continuai a farlo per i successivi otto anni, finché non cominciai ad andare in pezzi e a farmi di roba. Mi piaceva molto anche l’eroina, e ne feci uso quasi continuamente, in una forma o nell’altra, per vent’anni (se contiamo anche il metadone, che però non dà alcun senso di euforia, a meno che tu non sia pulito)". Entra così, quasi con noncuranza, la droga nella vita di Chet Baker: ed è lui il primo a dedicarle qualche riga che sembrerebbe quasi distratta, nonostante le conseguenze che Baker pagò per questa sua ‘relazione’ furono tutt’altro che leggere, e hanno forse a che fare anche con il volo finale fatto dalla finestra di un hotel di Amsterdam, anno 1988. Tempo di superare qualche capitolo e la narrazione di questi diari ritrovati di Baker si dedica regolarmente al racconto dei suoi guai con la polizia o del suo spesso precario stato di salute. Il tutto senza però criminalizzarsi, criticarsi o scomporsi mai: semplicemente prendendone atto, come se fosse una parte pacificamente accettata e vissuta del proprio destino. In questo la strana calma che regna nella narrazione, in questo forse anche la strana calma, la quasi sopita attenzione di Baker nella sua quotidianità, con quel volto sempre più rugoso che aspettava il suo assolo per chiudere gli occhi ed entrare in un altro mondo, fatto di note, di silenzi e di musica. "Come se avessi le ali" racconta molto di più gli sbattimenti dell’estasi, ma chi ha amato Chet Baker sa che in fondo sono due facce della stessa medaglia.

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