David Henderson - SCUSAMI STO BACIANDO IL CIELO - la recensione

Recensione del 26 nov 2010

“’scuse me while I kiss the sky” è il verso più celebre di “Purple Haze”, quello che precede l’assolo mitologico e che dà il titolo a questa monumentale biografia di Jimi Hendrix scritta da David Henderson nel 1982 e successivamente integrata in varie fasi, pubblicata in Italia nel 2010 da B.C. Dalai.

Siamo di fronte a un’opera fondamentale, a una sorta di pietra miliare per il giornalismo musicale americano. Stesa originariamente una dozzina d’anni dopo la scomparsa dell’artista che aveva promesso all’autore – meritevole della sua ammirazione dopo averne recensito un concerto a New York – che sarebbe stato il designato quando fosse giunto il momento di mettere mano alle memorie ufficiali di Jimi, “Scusami sto baciando il cielo” è un libro di testo per i neofiti, una guida per i fans e, più o meno consapevolmente, un esempio chiarissimo di come fondere persona e personaggio, uomo e artista, storia e leggenda in un continuum di fatti e annotazioni che non trascurano mai di tenere sullo sfondo l’epoca di riferimento e di fornire al lettore un’ambientazione in cui calarsi per capire meglio. Henderson ha compiuto uno sforzo titanico in termini di ricerca e va a suo merito il fatto che servano ben più di cento pagine prima di scoprire la star che in tre anni di carriera sotto la luce dei riflettori avrebbe poi rivoluzionato chitarra e rock per sempre. L’infanzia di stenti, la vicenda di un padre incapace di conservarsi un lavoro ma premuroso e di una madre erratica e alcolizzata, il militare da paracadutista e una gavetta che pare infinita, alle spalle di mostri sacri come Little Richard e Isley Brothers prima che gli fosse concessa una chance sono state ricostruite in maniera certosina. Ed aiutano a evidenziare la formazione di Hendrix come bluesman e come chitarrista ritmico, qualcosa che si sarebbe rivelato cruciale per la successiva maturazione ed esplosione solista. Negli anni in cui la sua generazione di appartenenza si avviava a chiudere la stagione del flower power e si accingeva a essere inghiottita dall’incubo del Vietnam, Hendrix sviluppava il suo suono cosmico, libero di sprigionare visioni che, sprezzantemente rigettate in patria, avrebbero trovato di lì a poco accoglienza, acclamazione e sostegno a Londra. Bello il ponte che l’autore getta tra la scena americana e quella britannica, tra due realtà oggi fuse in un rock più omogeneo ma che allora, alimentati dai loro contrasti, scrivevano la cifra estetica di un mondo nuovo. Bello anche lo sguardo su un’industria musicale ancora naif, dove tutto era possibile, dove l’arte e la creatività regnavano sovrane e nella quale miti come Hendrix non potevano che nascere all’insegna dell’improvvisazione. Bella, infine, la ricostruzione del milieu dei musicisti inglesi, illustri colleghi di uno sconosciuto prima, invidiosi e ammirati poi: adottarono Jimi prima dei suoi fans. Assolutamente per feticisti la cronaca post-mortem, completa di documenti, testimonianze, menzogne, FBI e contraddizioni (queste a cura dell’ineffabile Monika Danneman) che, con scelta originale (ma discutibile perché è una parte faticosa del testo), costituisce l’incipit della biografia.

Peccato per la traduzione, non all’altezza di cotanto tomo. (G. Di Carlo)

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