Enzo Gentile - JIMI SANTO SUBITO! - la recensione

Recensione del 08 lug 2010

Tra meno di tre mesi saranno trascorsi quarant’anni dalla morte di Jimi Hendrix, universalmente riconosciuto come il più grande ed influente chitarrista rock di ogni tempo e, da quattro decenni, anche icona di un’epoca e di uno stile che, a volte, ritornano. Pochi meglio dell’autore sono consapevoli dell’abbondante e controversa bibliografia intorno al grandissimo mancino di Seattle: gli è quindi venuto naturale concepire il volume come un compendio di tutto quanto è interessante sapere o esplorare sull’artista, anziché ricalcarne l’ennesima biografia ‘aggiornata’. Per centrare l’obiettivo, “Jimi Santo Subito!” si avvale di una serie di contributi esterni da parte di collaboratori e colleghi che Enzo Gentile, profondo conoscitore delle vicende hendrixiane, mescola alla farina del suo sacco e organizza in cabina di regia, offrendo punti di vista alternativi e curiosi su Jimi, sezionato sia come musicista che come personaggio. Giunti nel 2010, ad esempio, trovo sensato analizzarne il ruolo e il significato che il Voodoo Child è tuttora capace di assumere nell’ambito delle arti visive, a partire da quella inattesa campagna pubblicitaria che quest’anno ha visto Liu Jeans utilizzare una foto di Hendrix per una collezione maschile; ma è vero che questo è possibile soprattutto a valle di una ricostruzione puntuale del suo profilo artistico e del suo collocamento nella cronologia e nel pantheon del rock. A un Hendrix comprensibilmente etichettato come “visionario” e “sperimentatore”, ad esempio, in altre sedi si è trascurato spesso di accostare con il giusto peso quelle radici blues che, oltre a contaminarne la formazione, ne hanno determinato le ambizioni sonore (portare il blues nel futuro fu una missione divorante per il chitarrista). E diventa qui altrettanto interessante riscoprirne la negritudine culturale, spesso annacquata da quell’immagine stereotipata e commerciale di mito nero per fan bianchi. Ripristinare queste piccole verità note ma lasciate solitamente in sottofondo è un merito, aiuta a contestualizzare, ci porta fuori dall’iconografia del dandy damascato e con la bandana, del sex symbol che suonava come un dio, e dentro al suo percorso. Il quadriennio scarso che vide Hendrix scombussolare per sempre il mondo del rock è utilizzato da Gentile come epicentro di vicende dalle quali partire e tornare per sfaccettare meglio un genio. Gli aneddoti non mancano – dalla ricostruzione del suo minitour italiano, con testimonianze di prima mano, al ‘flirt’ artistico mai compiuto con Miles Davis; dall’intervista al padre e alla sorella, curatori della ‘estate’ hendrixiana che ne riportano i tratti umani, ai ricchi dati su discografia, attività live e filmografia; senza trascurare le fiamme che hanno alimentato il mito (da Monterey a Woodstock, fino alla morte misteriosa come si conviene alle leggende). Ma se dovessi identificare un valore aggiunto del libro, proprio perché parliamo di un volume dedicato a Hendrix nel 2010, probabilmente sceglierei il capitolo dedicato alle liriche di Jimi, proposte in originale con traduzione a fronte e nota a margine sul brano; così penalizzate dalla sua Stratocaster, così minimizzate dalla sua timidezza di cantante (si riteneva inadeguato) eppure talmente importanti per completarne e renderne più comprensibile la visione e la concezione musicale. “Il modo in cui scrivo le mie canzoni è un braccio di ferro continuo tra la realtà e la fantasia. Devi usare la fantasia per presentare i diversi aspetti della realtà”. Ipse dixit. (Giampiero Di Carlo)

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