Thomas Jerome Seabrook - BOWIE - LA TRILOGIA BERLINESE - la recensione

Recensione del 11 ago 2009

Ucciso Ziggy Stardust, lasciato nella sala d’aspetto di una stazione ferroviaria lo snello Duca Bianco, a metà degli anni Settanta David Bowie vive uno dei suoi momenti più difficili (umanamente) e più fertili (creativamente): quello che viene generalmente indicato come “periodo berlinese”, e che frutta una serie di album oggi unanimemente (o quasi) ritenuti “seminali”, come scrivono certi recensori - diciamo “basilari”, che suona meglio.

Non sono solo i suoi tre dischi del gennaio 1977 (“Low”), dell’ottobre 1977 (“Heroes”, anzi: “ ‘Heroes’ ”, perché nel titolo originale la parola è già fra virgolette) e del maggio 1979 (“Lodger”); ci sono anche tre album di Iggy Pop , “The idiot” (marzo 1977), “Lust for life” (settembre 1977) e il live “TV Eye” (maggio 1978). E ci sono anche, in quel lasso di tempo, due tournées: quella di Iggy per “The idiot” (marzo-aprile 1977), in cui Bowie si affida il ruolo di tastierista, e quella di “Low” / “ ‘Heroes’ “ (marzo-dicembre 1978). Per un artista in crisi familiare e fisica, non è poco. Soprattutto considerando la qualità della produzione musicale di cui si parla.
A quel periodo l’autore dedica un libro importante, per l’attentissima ed esaustiva compulsazione delle fonti, per la competenza con cui esamina i dischi, ma anche, anzi direi soprattutto, per l’equilibrio critico e l’assenza di agiografia: che non si esprime soltanto, come sarebbe anche facile, nel riferire le fragilità umane e le distonie comportamentali del Bowie di quell’epoca, ma anche nel rinunciare a ipervalutare la qualità della materia trattata - la musica di quei dischi, appunto: un trucchetto al quale ricorrono invece coloro che cercano di acquisire importanza di riflesso.

Che è, un pochino, invece, il limite di un altro libro di recente pubblicazione nella collana “Tracks” di NoReply: si intitola “Low”, è interamente dedicato all’album omonimo, ha 170 pagine, costa 12 euro e ne è autore Hugo Wilcken. Letti di seguito, i due libri rivelano le proprie diversità: più “studio critico-storico” il primo, più “monumento” l’altro. Niente di male, s’intende, soprattutto per chi di quel periodo bowiano è un estimatore consolidato (quorum ego). Una citazione per l’ottima traduzione di Stefano Nardini, curatore di www.velvetgoldmine.it, il sito del fan club italiano di David Bowie: Nardini firma anche un piccolo saggio “dal punto di vista dell’Italia”, tre paginette che sono la cosa migliore dell’intero libro.
(fz)

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