Il giornalista Luca Neri spiega che dietro quel sito c'è in realtà non solo un movimento, ma un partito vero e proprio, che fa della battaglia al copyright il suo obiettivo politico principale.
"La baia dei pirati" è un racconto scritto in maniera affascinante. Una lettura interessante non solo per gli smanettoni, ma anche per chi sta cercando di capire cosa succede in rete ai contenuti culturali. Ma va preso per quello che è. Non è sicuramnte un trattato sociologico, nonostante l'uso di testimonianze di hacker e pirati sembri far credere il contrario, in alcuni passaggi. Ma è un lavoro assai documentato, che cita molte fonti di seconda mano (dati di ricerche ecc) e di prima mano (interviste a esperti e operatori del settore).
E' soprattutto un racconto dichiaratamente ideologico, e quindi argomentativo, che sostiene "l'assalto al copyright", come spiega il sottotitolo. Lo si capisce da come viene liquidata velocemente la tesi del "copyleft" e di chi, come fa Creative Commons, sostiene in maniera più politically correct che il copyright non sia del tutto inutile, ma vada aggiornato ai tempi che corrono. O come, verso la fine, di fatto su imputi ai i gestori di un altro sito - questa volta tutto italiano, ColomboBT - di essersi arresi alla Finanza senza un briciolo di coraggio, preferendo un accordo ad una guerra ideologica ad oltranza.
Insomma, Neri ci ha provato a convincermi che se il copyright non esistesse sarebbe un mondo migliore. Lasciate perdere tutte le porcate fatte dalle case discografiche in questi anni - la miopia, le repressioni e le rappresaglie stile "colpirne uno per educarne cento", qua ampiamente raccontate. Ma siamo davvero sicuri che se nessuno di noi non pagasse nulla di quello che si produce culturalmente, siti come ThePirateBay potrebbero ancora offrire tutto il materiale che offrono? O tutto ciò che la rete si ridurrebbe ad offrire sarebbe un'infinità di contenuti amatoriali o semi professionali, la maggior parte dei quali bruttini e noiosi?