Ma si tratta di un'operazione meritoria, per almeno due motivi. 1)La contestualizzazione: i libri sono talvolta di autori stranieri – Geoffrey Himes per il volume su Springsteen, Dai Griffiths per quello sui Radiohead – ma sono tutti integrati da un apparato di scritti nostrani, dati e date relative all'anno di pubblicazione, con l'intento di raccontare non solo la musica che girava intorno, ma anche la storia, anche quella nazionale, seppure per sommi capi. 2)La diversità: delle prime tre opere, quelle su Springsteen è la più tradizionale: la storia del disco, e dell'autore in un determinato momento: Himes è un giornalista, e si capisce; molto diverso l'approccio degli altri due volumi: accademico quello sui Radiohead, scritto dal preside della facoltà di musica di Oxford; letterario quello su "Via Paolo Fabbri 43", opera dello scrittore Marco Rossari, che racconta il disco in maniera più creativa e meno lineare (su questo volume torneremo prossimamente).
Insomma, una bella idea che attendiamo di vedere sviluppata con i prossimi volumi, tra cui svettano quell dedicati a “Velvet Underground & Nico”, “Let it be” dei Beatles, “Unknown pleasures” dei Joy Division.