Marco Bonfiglio - BEATLES FOR SALE - IL ROMANZO - la recensione
Recensione del
06 feb 2006 a cura di
Franco Zanetti
Passavo in libreria, e ho visto sull’angolo del bancone un libro che aveva in copertina l’inconfondibile foto di “Abbey Road”. Essendo un acquirente compulsivo di tutto ciò che riguarda i Beatles (ho comprato anche la monumentale biografia “The Beatles” di Bob Spitz: 40 euro... 800 pagine in un inglese molto elaborato, ci sto mettendo molto tempo a leggerla, ma già mi pare di poter dire che non è priva di errori), essendo un acquirente compulsivo, dicevo, l’ho preso e pagato, questo “romanzo”. Ed essendo bendisposto e di buon umore, nonostante la fascetta promozionale sostenesse che questo è “il primo romanzo sui Beatles” (non diciamo cazzate: e quel delizioso libro che è “Paperback writer” di Mark Shipper dove lo mettiamo?) ho cominciato a leggerlo. L’impianto narrativo, un pochino tirato per i capelli, prevede che la narrazione sia affidata a Doctor Robert, un Supervisore Tutelare per Artisti Rock’nRoll (S.T.A.R.R., capita la strizzatina d’occhio?), una specie, se ho capito bene, di angelo custode che si occupa di “rendere quanto più possibile positiva e produttiva l’attività dei musicisti”. E, secondo quanto spiega la fascetta del libro, Doctor Robert racconta (“come nessuno l’ha mai raccontata”, oppobbacco!) tutta la storia dei Beatles, dall’alba al tramonto. Che questo autorizzi a definire “romanzo” il libro che avevo in mano è questionabile: comunque ho continuato a leggere, e mi sono reso conto che in sostanza l’autore mi stava raccontando per l’ennesima volta la storia dei Beatles. E vabbé, mi sono detto, vediamo dove va a parare. E andava dove vanno tutte le biografie dei Beatles: Liverpool città portuale, lo skiffle, insomma le solite cose. Unica novità: l’invenzione dei dialoghi fra i personaggi (“Ripeti un’altra volta che Elvis Presley sembra una checca, e ti prendo a bastonate sulle gengive! E un’altra cosa, non chiamarmi più Winnie!” dice John Lennon a Pete Shotton a pagina 32). Insomma, un tentativo di sceneggiatura, diciamo così. Che Pete Shotton continuasse a chiamare “Winnie” John ‘Winston’ Lennon ancora all’inizio di giugno del 1957, dopo che John l’aveva pestato un bel po’ di anni prima proprio per quella ragione, mi sento di dubitarne, considerando il carattere fumantino del giovane Lennon (che poi, a Shotton, finirà per picchiare in testa l’asse da lavare che i Quarrymen usavano come percussione). Però, si sa, la libertà dello scrittore, il bello dell’invenzione eccetera eccetera. Ma due pagine dopo, a pagina 34, Bonfiglio scrive: “...prima che la mattina successiva Fred (Lennon) prendesse servizio come cameriere su una nave che si imbarcava verso la zona occidentale dell’India”.
E qui ho fatto quello che avevo fatto quando, leggendo in italiano una raccolta di articoli di Lester Bangs, mi ero imbattuto in uno svarione di traduzione madornale (“il” batterista dei Velvet Underground: vedi http://www.rockol.it/news.php?idnews=52223): ho preso il libro e l’ho lanciato dall’altra parte della stanza. La zona occidentale dell’India, eh? “West Indies”: le Antille, i Caraibi, cazzo! (http://en.wikipedia.org/wiki/West_Indies). Che c’entra l’India?
Dite: ma sei pignolo, sei rompicoglioni, tutti possono sbagliare. Certo, come no. Nella prefazione, il collega Fabrizio Zampa (che sostiene fra l’altro di aver cominciato a leggere il libro verso mezzanotte e di aver smesso solo all’alba, dopo averlo finito) ci informa che “Per mettere su carta la vera storia di John, Paul, George e Ringo... (Marco Bonfiglio) ha impiegato otto mesi, ma per le ricerche che un giorno lo hanno fatto sedere davanti al computer e scrivere finalmente le parole ‘Capitolo primo’ ci sono voluti diversi anni”. In uno qualsiasi dei giorni di uno qualsiasi di questi diversi anni, Bonfiglio avrebbe potuto verificare che il “West Indies” che si trova scritto in numerosi testi inglesi sulla storia dei Beatles, quelli che lui ha utilizzato per scrivere il suo “romanzo”, è un luogo geografico dall’altra parte del mondo rispetto a quello che crede lui. Complimentoni, davvero. E complimenti anche all’editor del libro, il cui nome non è indicato.
Non riprenderò in mano “Beatles for sale”. A meno che non mi capiti una botta d’insonnia, e che, come Fabrizio Zampa, non voglia tirare l’alba. Nel caso, vi farò sapere.
(Franco Zanetti)