Massimo Cotto - HOBO - UNA VITA FUORI GIRI - la recensione

Recensione del 26 mar 2003

Massimo Cotto Hobo - Una vita fuori giri Editori Riuniti Non mi mette in imbarazzo, solitamente, parlare del lavoro di un amico: anzi, i miei (non molti) amici sanno che è proprio nei loro confronti che esercito con maggiore severità il mio senso critico - perché è negli amici, e nelle persone che stimo, che nutro le maggiori aspettative, e sono gli amici dunque coloro dai quali mi attendo risultati eccellenti.

Ma questo lavoro di un amico non è un saggio, o un articolo, o un disco o un concerto; è un romanzo, e per giunta un romanzo raccontato in prima persona, nel cui protagonista (Sandor Marlav, quarantenne eterno adolescente la cui vita è scandita dalle canzoni e dai dischi) mi è difficile non ritrovare i tratti biografici dell’autore. Massimo Cotto, giornalista e direttore artistico di Radiouno, è fra i giovani colleghi - lo dico “giovane” perché ha dieci anni meno di me, ma vanta un curriculum e un’esperienza che sinceramente gli invidio - uno fra quelli dei quali godo la più allegra e istintiva complicità; lui mi ha spiegato di aver messo qualcosa di sé in molti dei personaggi del suo romanzo, ma è inevitabile che io lo veda maggiormente rispecchiato nel suo alter ego: una “faccia da vinile” che detesta i Cd e si muove “fuori giri” in un mondo in cui il rock sembra non riuscire più ad esercitare quel ruolo determinante e salvifico che ha avuto per le generazioni degli anni Sessanta.
Sarebbe sciocco e inutile riassumere in sede di recensione (ammesso che questa voglia e possa essere una recensione) le vicende che Massimo/Sandor racconta nelle 160 pagine del libro; anche perché in esse, a una sorta di diario quaresimale (dura quaranta giorni il periodo della narrazione), si intrecciano flashback e memorie, ricordi e visioni, che costituiscono forse la materia più intensa del romanzo.

Nel quale s’incontrano personaggi bizzarri come bizzarre sono le persone cosiddette normali, riflessioni contorte come contorti sono i ragionamenti quotidiani, bisogni e speranze e paure e sbagli e gesti quasi eroici e comportamenti quasi meschini: roba che noi tutti conosciamo bene perché appartiene alla nostra vita di ogni giorno, ma che ri-conosciamo nelle parole dell’autore.
Il quale scrive come parla (lo dico per chi lo abbia ascoltato alla radio): e cioè benissimo, con vivacità e con fluidità e con fantasia, e con un uso della punteggiatura efficace e impeccabile. Il che rende la lettura di “Hobo” piacevole e scorrevole, ma non facile: bisogna sfuggire all’ovvia tentazione di inseguire l’evoluzione della trama, cioè di scoprire cosa succederà a Sandor e alle sue donne e ai suoi amici, e lasciarsi catturare dai percorsi paralleli e dalla fantasia lessicale (che avrebbe meritato un’attenzione ancora maggiore da parte dei redattori editoriali, il cui lavoro è stato peraltro più che apprezzabile: ma è proprio quando ci si avvicina all’optimum che le imperfezioni e le distrazioni spiccano di più - come un nome sbagliato a pagina 19, “Guy Peelhaert”, un refuso a pagina 135, “se non ‘suono’ fuochi di Sant’Elmo”, e un opinabile “trasmettibili” a pagina 153).

Dettagli, comunque; che non mi impediscono di consigliare la lettura del romanzo a tutti coloro nella cui vita la musica è qualcosa di più di un sottofondo sonoro.
(fz)

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