Mike Watkinson e Pete Anderson - SYD BARRETT - la recensione

Recensione del 25 set 2001

“La caccia a Barrett è diventata nella migliore delle ipotesi un fenomeno irritante e, nella peggiore, l’inseguimento di una persona confusa per puro piacere voyeuristico”. Lo scrivono gli autori, Mike Watkinson e Pete Anderson, nell’introduzione di questo volumetto che ripercorre minuziosamente le vicende biografiche e professionali del talentuoso musicista di Cambridge che, dopo aver fondato i Pink Floyd, ne venne espulso a causa delle condizioni di salute mentale, ritirandosi poco dopo ad una vita privata quasi eremitica, difesa strenuamente dalla curiosità dei media e dei fans. Il volume è stato originariamente edito nel 1990, e quella ora ripubblicata è una ristampa senza aggiornamenti. Peccato, perché l’interessante appendice “Dove sono finiti?”, che segue fino alla data suddetta le tracce dei principali personaggi citati nel libro, risulta così evidentemente datata.

Ma quanti sono desiderosi di saperne di più su un personaggio la cui esistenza è ormai circondata da un alone di leggenda, e che ha dato origine ad una peculiare categoria di “avvistatori” (“Sydspotters”), troveranno nel volume una messe di informazioni curiose e anche qualche dettaglio inedito, spesso ricavato dalle testimonianze di amici e parenti di Syd. Da segnalare, ad esempio, la cronaca della partita di calcio giocata da Barrett e da un gruppo di amici “in acido”, trasformata in una futile serie di tentativi di colpire il pallone; ma anche l’intervista trasmessa il 27 ottobre del 1998 da Radio One della BBC, in cui il disc jockey Nicky Campbell chiacchiera con Paul Breen, marito della sorella di Syd, ottenendone informazioni sulla vita quotidiana del musicista.
Non che i due autori si rivelino giornalisti investigativi di particolare fiuto, giacché dal loro lavoro non spuntano rivelazioni clamorose; anche se la ricerca sulle fonti è scrupolosa, e il rispetto per l’uomo e l’artista oggetto della loro opera non viene mai meno. Né, purtroppo, lo stile – penalizzato da una traduzione piuttosto pedissequa – è di quelli che facciano particolare impressione al lettore.

Al quale, invece, resteranno impresse nella memoria le brevi ma intense parole con cui Julian Cope, nella prefazione, riflette su Syd Barrett: una frase, in particolare, che qui riportiamo (“E’ quasi impossibile, per un artista, limitarsi al perseguimento del raggiungibile, ma era proprio questo che pretendevano da lui gli altri componenti dei Pink Floyd. Credo che, quando Barrett se ne rese conto, la sua sottile aderenza alla realtà venne meno ed egli cadde nel vuoto”), suona come perfetto epitaffio alla vicenda artistica dello splendente “crazy diamond”.

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