Ma quanti sono desiderosi di saperne di più su un personaggio la cui esistenza è ormai circondata da un alone di leggenda, e che ha dato origine ad una peculiare categoria di “avvistatori” (“Sydspotters”), troveranno nel volume una messe di informazioni curiose e anche qualche dettaglio inedito, spesso ricavato dalle testimonianze di amici e parenti di Syd. Da segnalare, ad esempio, la cronaca della partita di calcio giocata da Barrett e da un gruppo di amici “in acido”, trasformata in una futile serie di tentativi di colpire il pallone; ma anche l’intervista trasmessa il 27 ottobre del 1998 da Radio One della BBC, in cui il disc jockey Nicky Campbell chiacchiera con Paul Breen, marito della sorella di Syd, ottenendone informazioni sulla vita quotidiana del musicista.
Non che i due autori si rivelino giornalisti investigativi di particolare fiuto, giacché dal loro lavoro non spuntano rivelazioni clamorose; anche se la ricerca sulle fonti è scrupolosa, e il rispetto per l’uomo e l’artista oggetto della loro opera non viene mai meno. Né, purtroppo, lo stile – penalizzato da una traduzione piuttosto pedissequa – è di quelli che facciano particolare impressione al lettore.
Al quale, invece, resteranno impresse nella memoria le brevi ma intense parole con cui Julian Cope, nella prefazione, riflette su Syd Barrett: una frase, in particolare, che qui riportiamo (“E’ quasi impossibile, per un artista, limitarsi al perseguimento del raggiungibile, ma era proprio questo che pretendevano da lui gli altri componenti dei Pink Floyd. Credo che, quando Barrett se ne rese conto, la sua sottile aderenza alla realtà venne meno ed egli cadde nel vuoto”), suona come perfetto epitaffio alla vicenda artistica dello splendente “crazy diamond”.