Siamo negli Stati Uniti nel 1939, in piena segregazione razziale americana quando Billie Holiday canta per la prima volta “Strange Fruit” al Café Society di New York, night club promosso a unico tempio dell’integrazione. Da qui molti avvenimenti che cambieranno il corso della storia americana a partire dal caso Rosa Park, la giovane di colore che, su un autobus, in Alabama a Montgomery si rifiutò di sedersi nei posti riservati ai neri e che divenne poi simbolo della lotta per i diritti civili (una spolverata ai libri di storia, anche se non fondamentale, può aiutare ad apprezzare di più questo volume). Ma chi era veramente Billie Holiday? Contestando apertamente la biografia ufficiale della cantante, David Margolick, accreditata firma del giornalismo americano, ne ricostruisce la vita e la carriera legandola a questo brano e dando l’idea di lei come quella di una donna che nella vita ha molto sofferto (inutile in questa sede ricordarne i trascorsi in carcere e la prostituzione) e che, nonostante sia generalmente associata a canzoni d’amore simili alle sue letture preferite, i romanzi rosa, riesce a far proprio questo brano esprimendo nella sua interpretazione la sua sofferenza personale e quella del popolo di colore in modo magistrale.
Per chi non lo sapesse, la canzone, scritta da Abel Meeropol, in arte Lewis Allan, conosciuto forse più per aver adottato gli orfani Rosenberg (anche qui un ripassino di storia non guasta) che non per la sua attività di autore, parla dello scottante tema del linciaggio descrivendo l’immagine di un nero impiccato ad un albero.
Va alla Holiday il merito di aver avuto il coraggio di presentarla al pubblico, averne permesso la diffusione tanto da renderla oggetto di studio nelle università, simbolo di alcune marce a favore dei Diritti Civili e primo esempio di canzone di protesta.
Ma alla Holiday sono andate anche le conseguenze di questo coraggio: i vincoli, se non il rifiuto, da parte dei club nel presentare il suo repertorio, gli insulti e l’elevazione a mito fino farla diventare tutt’uno con questo brano.
Molti altri in seguito si sono cimentati in quest’interpretazione, anche tra i nostri contemporanei, da Sting a Diana Ross a Tori Amos, ma nessuno, secondo l’autore, ha riprodotto le emozioni e l’atmosfera che Billie riusciva a creare immedesimandosi al punto tale da commuoversi e far commuovere il pubblico.
Questo viene raccontato attraverso le testimonianze dirette di chi ha vissuto quegli anni e ha avuto la fortuna di assistere ad uno spettacolo della cantante di colore o dagli articoli di giornale, il tutto supportato da alcune belle, ma purtroppo poche, foto. Molto curata la grafica.
Come in tutte le biografie non manca poi una “bibliografia” rappresentata, visto il soggetto, da un’interessante e completa discografia della canzone.
E visto che leggere questo libro ci ha fatto venir voglia di ricercare tra i vecchi vinili “Strange Fruit” cantata dalla Holiday, ci sembra giusto riportare parte della traduzione di questa canzone così come appare nelle prime pagine perché, oltre ad essere un bel momento di poesia, la sua lettura può far pensare a come oggi alcuni intendono la protesta (rapper in testa) e farci riflettere su quale dei due tipi di messaggi, alla fine, sia più efficace: “Gli alberi del Sud producono uno strano frutto/ sangue sulle foglie e sangue alle radici/un corpo nero che ondeggia nella brezza del Sud/uno strano frutto che pende dai pioppi./... Qui c’è un frutto che i corvi possono beccare/ che la pioggia inzuppa, che il vento sfianca/che il sole marcisce/che l’albero lascia cadere/ qui c’è uno strano, amaro raccolto”.