Francesco Guccini, Loriano Macchiavelli - QUESTO SANGUE CHE IMPASTA LA TERRA - la recensione

Recensione del 26 giu 2001

Qualche giorno fa, nella recensione di “Blackbird singing”, scrivevamo:
“Se l’autore di queste poesie non fosse Paul McCartney, avrebbe trovato un editore disposto a pubblicarle? Ma questa domanda vale anche per tutti i libri scritti da cantanti, per tutti gli articoli di giornale scritti da cantanti, per tutti i quadri dipinti da cantanti”.

Domanda retorica, alla quale però in qualche caso daremmo risposta positiva. Uno di questi casi è quello di Francesco Guccini, che sa scrivere e sa raccontare sia in canzone sia in prosa, come dimostrano i libri che già ha pubblicato in passato (ricordiamo almeno i due per Feltrinelli, “Croniche epafaniche” e “Vacca di un cane”). Certo il suo ambito è quello del ricordo, della memoria, della rievocazione: e anche la serie di romanzi firmata a quattro mani con Loriano Macchiavelli – questo è il terzo: i precedenti sono stati “Macaroni”, del 1997, e “Un disco dei Platters”, del 1999 – segue il filo della storia, risalendo dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, periodo in cui è ambientato questo romanzo.
Protagonista della vicenda è Benedetto Santovito, ormai ex maresciallo dei carabinieri, che continua a abitare nel paesetto sull’Appennino in cui ha prestato servizio. Santovito è un bel personaggio, tratteggiato con la perizia tipica di Macchiavelli nell’invenzione dei suoi protagonisti (vedi Sarti Antonio, poliziotto bolognese portato anche sul piccolo schermo), paragonabile ad altri characters di genere (da Maigret a Montalbano), con i suoi tic e le sue peculiarità – il sigaro toscano, il gusto per la cucina semplice, gli scazzi con colleghi e superiori -; e Guccini lo colloca in un paesino che assomiglia tanto alla sua originaria Pàvana, al confine fra Emilia e Toscana.

I fatti descritti nel romanzo sono, tutto sommato, ininfluenti sul nostro giudizio: come spesso capita nei romanzi “seriali”, l’attenzione va più alle modalità che allo sviluppo del racconto. E le modalità sono apprezzabili, la lettura è fluida e piacevole, anche se la conclusione “a sorpresa” non sorprende più di tanto. Non sorprende nemmeno – e di questo ci dispiace – cogliere anche in questo romanzo (come nel precedente, dove un mangianastri diventava un mangiadischi nel giro di poche pagine) un “blooper”, un errore di continuità che un buon redattore editoriale avrebbe segnalato: a pagina 230 Raffi annuncia di aver smesso di fumare, a pagina 261 (circa tre giorni dopo, nello svolgersi dei fatti) Raffi “si accende una sigaretta” e “con la cicca si accende un’altra sigaretta”. Ha cambiato idea lei, o gli autori si sono distratti?
Diverte, invece, individuare in una delle figure di contorno presenti nel romanzo una sorta di autoritratto di Guccini da giovane: a pagina 119 compare “un tipo alto, magro, barba e capelli scuri e lunghi” che gioca a carte (Tarocchino bolognese), parla “arrotondando la erre” e poi canta “Addio Lugano bella” accompagnandosi alla chitarra. Se non è Francesco, è uno che gli somiglia molto... come assomiglia molto a Deborah Koopermann la “giovane dall’accento americano che cantava e suonava la chitarra davvero bene” di cui si dice a pagina 138.

E su questa notazione musicale, che un po’ giustifica la presenza di questo libro nella nostra rubrica, chiudiamo la recensione, non senza osservare che se questo fosse – come parrebbe – l’ultimo romanzo della coppia Guccini – Macchiavelli sarebbe un peccato: Santovito ha lo spessore e la profondità per durare, e secondo noi meriterebbe anche una trasposizione per immagini, cinema o televisione che sia.

Vai alle recensioni di Rockol

rockol.it

Rockol.com s.r.l. - P.IVA: 12954150152
© 2025 Riproduzione riservata. Rockol.com S.r.l.
Privacy policy

Rock Online Italia è una testata registrata presso il Tribunale di Milano: Aut. n° 33 del 22 gennaio 1996