Massimo Zamboni, Giovanni Lindo Ferretti - IN MONGOLIA IN RETROMARCIA - la recensione

Recensione del 05 apr 2000

«Viaggiare è essere viaggiati. Ora lo so, questa andata in Mongolia, niente più che una gita in effetti, o un’avventura organizzata, diventa per noi per circostanze complicate o per disposizione nostra un viaggio di solo ritorno. Senza scomodare la psicanalisi, disciplina che detesto e ne sono ricambiato, innestiamo la retromarcia, ci incamminiamo in un viaggio verso l’infanzia, davanti a noi scorrono gli anni più che i chilometri.
L’infanzia nostra, che abbiamo conosciuto e sentito raccontare nelle nostre famiglie, del loro vivere con le bestie e con la terra, “riserva di calore” giusto l’altro ieri. L’infanzia del mondo, che “è stato un tempo giovane e forte, odorante di sangue fertile” e tale è ancora in Mongolia, nazione adolescente».

Finalmente un libro, tra tutte queste recensioni di libri. Voglio dire, qua ci provano in parecchi, tra i musicisti, a scrivere: per ora, personalmente, non ci sarebbe da salvare nessuno, giusto Emidio Clementi e la passione di Guccini, ma per il resto c’è davvero poco e niente. E allora iniziamo col dire che qui la scrittura c’è, eccome. “In Mongolia in retromarcia” si legge con gusto e piacere, e non solo perché racconta di un’esperienza non proprio ortodossa – il duo Ferretti/Zamboni nel suo peregrinare in terre lontane, di fronte all’immensità spietata della Mongolia – ma anche per come è scritto. I fondatori dei CSI erano partiti alla volta di Ulan Bator nell’estate del 1996, erano tornati a casa portando con sé silenzi e distanze su cui costruire “Tabula rasa elettrificata”, poi il successo, poi il viaggio necessario a Berlino per un album e un libro insieme che adesso vedono la luce dopo la dissoluzione della coppia. “Co.dex” sarà l’album del solo Ferretti, “In Mongolia in retromarcia” è il libro di entrambi, ma rigidamente separato, diviso in due parti, nella prima la narrazione emotiva e ‘da viaggio’ di Zamboni, nella seconda poesie e riflessioni mongole e universali di Ferretti. Il risultato è un libro affascinante e complesso, una narrazione ricca di spunti per riflettere e completa, un ultimo frutto del ventennale lavoro a due che ha scardinato non pochi luoghi comuni della musica italiana. Zamboni si predice scrittore per il futuro, Ferretti musicista più che mai: a pensarci fino a ieri si sarebbe scommesso sul contrario. Del resto, dicono loro, ciò che deve accadere accade: ed è da quell’estate del ‘96 che le cose hanno iniziato a seguire il proprio verso, fino a portarli, adesso, su due sponde lontane. Buon viaggio a entrambi e grazie per questo ulteriore regalo.

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