Emidio Clementi - IL TEMPO DI PRIMA - la recensione

Recensione del 01 mar 2000

« Poi l’apatia aveva vinto su tutto. Mi arresi. Diventai un portiere di notte e basta, nessun’altra aspirazione. Questo restituì al tempo la sua giusta dimensione. I giorni smisero di ossessionarmi. Mi annoiavo, ma avevo imparato che erano questioni inutili domandarsi se si stava vivendo bene oppure no. E’ come per il tempo. Preoccuparsi se c’è il sole o se piove, se fa caldo o nevica. Avevo capito che guardarsi troppo dentro era la stessa cosa
». Come resistere a un retro di copertina così desolato e caustico? A una cosa che va dentro la piaga in modo talmente perfetto da non lasciare tracce? E così l’ho letto tutto d’un fiato, e, non c’è che dire, Emidio Clementi ci sa fare. Forse non si è impadronito ancora totalmente del ritmo, dello scorrere continuo e quasi parco delle frasi che ti fanno desiderare di berne altre, ma ci sa fare. A questo breve romanzo Emidio arriva dopo un ottimo libro di racconti, “Gare di resistenza”, e quello che sembra un laborioso tentativo di crescita, di sviluppo. Sempre di più su queste pagine Emidio Clementi sembra in possesso di un suo personale stile, ormai pronto per spiccare il volo, e ancor più dello stile affascina la sua capacità di scegliere i personaggi giusti e di tratteggiarli a dovere. Un ex-trafficante di droga fuggito dalla vita ‘civile’ per finire a fare il portiere di notte in un albergo sperduto e tutta il suo contorno: Edoardo, ex-manager di origine argentina, fallito e riconvertitosi cuoco nello stesso albergo, e poi il figlio del proprietario dell’albergo, Arturo, un ‘pazzoide’ quarantenne dedito al furto e allo smercio di Cd, bisognoso di affetto e compagnia. E poi Marcela e Roberto, ossia la ex-moglie di Edoardo e il suo nuovo compagno, un uomo placido e arrivato, così diverso dall’esagitato Edoardo. Il tutto sullo sfondo di uno scenario desolato come quello di un lago artificiale costruito sull’appennino tosco-emiliano, su una serie di domande assillanti e quotidiane che non trovano appositamente risposta, di flashback che lentamente ricostruiscono i frammenti di un passato cancellato. Il protagonista del libro parla poco, ma è proprio questo lungo silenzio a farlo risaltare nella sua pienezza, nel senso ritrovato che è capace di imprimere ai suoi gesti lenti ed essenziali. E il suo passato, che affiora a poco a poco dalle pagine del libro, lo rende ancora più centrale e a fuoco nel finale che sembra chiudere il libro. “Il tempo di prima” –
romanzo di redenzione e forse di resa , come lo definisce felicemente una nota tratta dal retro di copertina – è un libro in cui si specchiano le difficoltà esistenziali e relazionali fino a precipitare in una sorta di nichilismo rassegnato, una resa che sembra definitiva piuttosto che apparente, e in questo liberatoria. « Al rallentatore. Cavalli che rotolano su se stessi, ponti fatti saltare con la dinamite, cow-boy che cadono dai cornicioni. Nella convulsione dell’azione subentra la calma, la tensione si scioglie. I quindici minuti finali di “Il mucchio selvaggio” sono tutti così. Pike e soci sanno da che parte sta il bene e da che parte è il male, ma si illudono che la loro posizione di fuorilegge li preservi dall’eterno conflitto. Loro devono pensare a concludere affari. Ma la mattina dopo la festa hanno le bocche marce d’alcool, la prostituta che hanno accanto ha un bambino appena nato che piange nell’altra stanza, i vestiti puzzano e tutto quello che hanno guadagnato sono delle piastre di metallo nemmeno troppo simili a monete. Allora si lasciano massacrare come cani e questo sembra l’unica cosa che li appaghi realmente»

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