Cesare Monti - LUCIO BATTISTI E LA NUMERO UNO NELLE FOTOGRAFIE DI CESARE MONTI - la recensione

Recensione del 01 dic 1999

Si dice che il nome glielo avesse suggerito proprio Lucio Battisti, al momento in cui, uscendo da una camera oscura, dovesse decidere come firmare una fotografia: era il fratello di Pietruccio dei Dik Dik, dopotutto, e gli sembrava poco corretto utilizzare il cognome che avevano in comune, Montalbetti. Lucio gli disse: «firmati Caesar Monti”, e lui, per quella prima volta, gli diede retta. Caesar divenne poi Cesare, ma il Monti rimase, ed è stato con quel nome che Cesare Montalbetti si è affermato come fotografo. Erano anni magici, i primi ’70, anni in cui Lucio Battisti e Mogol decidevano di dare una spallata all’impostazione discografica tradizionale aprendo una propria etichetta, la Numero Uno, gestita da un manipolo di entusiasti incrollabili e capace di mettere sotto contratto nomi che diverranno rappresentativi dell’epoca: Flora, Fauna e Cemento, Formula 3, Alberto Radius, Adriano Pappalardo, Premiata Forneria Marconi, Demetrio Stratos ed Eugenio Finardi – entrambi approdati in seguito alla rivoluzionaria etichetta Cramps di Gianni Sassi, la stessa per cui continuerà a lavorare anche Cesare Monti, dopo aver vissuto gli anni d’oro della Numero Uno. Per l’etichetta di Battisti & Mogol, Cesare Monti ha fotografato gli artisti, creato copertine, spesso ha deciso le linee concettuali cui ispirare i vari progetti. E, come pochi altri, è riuscito ad entrare nell’intimità di quanti si concedevano all’occhio della sua macchina fotografica, conquistati dalla simpatia di un fotografo che non si accontentava di foto posate, ma cercava di ‘spogliare’ i propri soggetti lasciandone affiorare i tratti distintivi – il fuoco – che ne caratterizzava la musica. Battisti con Cesare Monti lasciava fare, improvvisava anche, se del caso, ma più spesso faceva quello che gli veniva richiesto: come correre per un’intera giornata tra le pozzanghere di un sentiero di campagna per finire immortalato (e inzaccherato) sulla copertina di “La batteria, il contrabbasso, eccetera”. Le fotografie qui raccolte – come giustamente sottolinea Monti – non sono foto ‘inedite’ nel senso di sparite e affiorate alla luce soltanto adesso, al contrario: sono foto che all’epoca erano state scartate dai media, che preferivano scatti rubati o pose maggiormente didascaliche. E quello che si compie sfogliando questo album fotografico – in cui gli scatti sono stati però rielaborati ed inseriti in un contesto pittorico ‘cinquecentesco’ (il Cinquecento è la grande passione di Cesare, che ne è diventato un appassionato studioso) con un lavoro di grande sensibilità artistica curato da Wanda, la compagna di Cesare da una vita – non è tanto un viaggio a ritroso, quanto un percorso ‘fuori dal tempo’, con in più la strana impressione che sempre fa il trovarsi di fronte ad un vero libro d’arte. Scatti splendidi, e non solo quelli di Lucio, raccontano personalità e sogni di un’epoca, ancora prima che di una schiera di musicisti, lasciando riaffiorare quella passione, quella voglia febbrile di cambiamento che in quel periodo animava persone e cose, senza dare loro tregua.

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