Peter Guralnick - SOUL MUSIC - GLI ANNI D’ORO DELLA MUSICA NERA - la recensione

Recensione del 16 lug 1999

«La soul music ha avuto una breve fioritura: fece capolino verso la metà degli anni ’50 ponendosi, come il rock’n’roll, come un’alternativa all’assimilazione, prese coscienza di sé non prima del 1960, varcò le barriere razziali tra il 1965 e il 1966 e, nonostante lasciasse tracce della sua influenza in ogni ramo della cultura, cessò di essere una forza-guida all’inizio degli anni ’70. Si sviluppò in parallelo con il Movimento dei Diritti Civili sia dal punto di vista stilistico che cronologico, emergendo all’inizio con cautela, prendendo gradualmente slancio, quindi dichiarandosi apertamente senza paura, per ripiegarsi infine su se stessa dietro la spinta di vicende e delusioni traumatiche. Musicalmente, il soul rimane la storia di un universo sonoro germinato dalla chiesa nera. Storicamente rappresenta un altro capitolo nell’evoluzione della coscienza nera, simile allo Harlem Renaissance nella sua esaltazione della negritudine ma dall’impatto immediato più diffuso. Contemporaneamente è anche tutta un’altra storia, quella della associazione tra neri e bianchi. E’ la storia dei complicati intrecci di origini miserabili e sogni borghesi, ambizioni estetiche e sforzi di ascesa sociale, impulsi anarchici ed etica mercantile. E’ una storia in cui ci sono eroi e malvagi, anche se, come sempre nella vita, è talvolta difficile distinguerli. A un certo punto la soul music parve rappresentare l’avanguardia della rivoluzione, e il fatto che questa non sia arrivata non ne diminuisce certo l’importanza». Questa la soul music nelle parole dell’autore del libro, Peter Guralnick, o almeno ciò che può dirsi soul music da un punto di vista concettuale, perché il bello di questo libro – una perfetta lettura estiva – è che saprà trasportarvi dentro quel periodo magico in cui il talento di molti artisti era assoluto e pretendeva assoluto. Farete la conoscenza di Sam Cooke, il prototipo del cantante soul timorato di Dio e seducente, morto ammazzato in uno squallido motel in circostanze desolanti, quella di Ray Charles, ancora oggi sulla cresta dell’oda dopo aver disegnato con la sua musica le coordinate di un genere musicale in grado di cambiare il mondo. E poi la Stax, la Atlantic, i re come Solomon Burke, Otis Redding, James Brown, il suono di Memphis, Aretha Franklin, l’ascesa inarrestabile, l’esplosione del fenomeno e la lenta e inesorabile discesa. Tutto in mille aneddoti, rinvigoriti dall’inserimento in un contesto storico e di costume che permette di osservare i mutamenti della società e quelli dell’industria discografica. Un documento d’altri tempi, di tempi che vengono una volta sola nella vita, come bene sottolinea l’autore nel chiudere la sua prefazione: «In noi tutti, pubblico e protagonisti, c’era la sensazione di trovarsi sulla soglia di un movimento che costituiva molto di più di un semplice fenomeno pop. Più e più volte nel parlare con la gente che ha prodotto questa musica l’ho sentita riferirsi a questo tipo di associazione spirituale, al senso di far parte di qualcosa di più grande. Forse nessuno lo ha espresso con più eloquenza di Curtis Mayfield, cantante solista del gruppo di Chicago “The Impressions”: “Sai, parlare degli anni ’60 mi fa quasi venire le lacrime agli occhi. Quel che abbiamo fatto. Quello che tutti noi abbiamo fatto. Abbiamo cambiato il mondo – io, noi, Smokey Robinson, Jerry Butler, i Temptations, Aretha, Otis, Gladys Knight, James Brown. Sul serio. Abbiamo abbattuto le barriere, per noi e per tutti i musicisti neri dopo di noi. Esserci passati in mezzo, e averci partecipato, è più di quanto uno possa chiedere”».

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