Cesare Rizzi - PROGRESSIVE - la recensione

Recensione del 28 giu 1999

Ah, progressive! Dove sei oggi, se non in questi libri che ti eternano giovane e fertile di memorie? Sono lontani anni luce quei tempi – primi anni ’70, in gran parte – in cui la tua musica la faceva da padrona in Europa e anche negli States, in cui riempire con un solo brano un intero lato di LP era quasi un must, in cui le improvvisazioni strumentali erano la vera libidine e i cantati venivano quasi malsopportati… Eppure ti hanno relegato già ai libri, nascosto negli archivi, tuttalpiù revitalizzato grazie a qualche copertine famosa per caso (“Brain salad surgery”), niente celebrità, revival e nostalgia come a quelli degli anni ’80, sdoganati già in tv e sulle compilation. Il progressive è il grande peccato mortale della musica rock: una sorta di ansia di prevalere dell’uomo sulla musica, sulle misure, sulle distanze, sulle proporzioni: il faraonico è dietro l’angolo, il pomposo è a portata di mano, fino a quando il soufflé si sgonfia e allora di quella splendida festa non rimane più niente. Anzi, quelli che c’erano passeranno la vita a dire che loro non c’erano stati davvero, tutt’al più erano passati a dare un saluto. Imbarazzo giustificato, in parte, in parte no, perché qualcosa di buono il prog – anglosassone e italiano – lo ha lasciato: i primi King Crimson, i Genesis, a little bit of Yes, Battiato sperimentale, il Canterbury di Hatfield and the North, qualche Camel, sprazzi di EL&P nonostante loro stessi, verrebbe da dire, e poi Moody Blues, Family, Gentle Giant, perfino i Pink Floyd. Proseguendo la tradizione di questi nuovi atlanti universali, la Giunti sforna un volumetto agile ed essenziale in base al quale potrete:

1. confrontare i vostri gusti con quelli dell’autore in quanto a progressive, se siete ferrati con il genere, visto che di ogni artista sono indicati i dischi da non perdere.
2. colmare qualche eventuale lacuna.
3. appassionarvi alla trattazione – a dire il vero, ipotesi alquanto remota a 180 giorni dal 2000 – e spingervi all’acquisto di qualche capolavoro negletto e dimenticato come i primi di Hatfield & The North oppure “Sulle corde di Aries” di Franco Battiato.
In ogni caso non disprezzate, visto che questa musica ha fatto battere il cuore a molti, e molti altri ne ha battezzati musicisti, non ultimo quel fenomeno del batterista dei Police, che suonava nei Curved Air per amore della sua donna.

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