Fabrizio De André/Cesare G. Romana - AMICO FRAGILE - la recensione

Recensione del 14 gen 1999

Dei vari (e pochi) libri usciti a raccontare la vita e la musica di Fabrizio De André, quello che Cesare G. Romana - noto quotidianista e critico musicale de Il Giornale - ha pubblicato nel 1991 è forse il libro che più di ogni altro è riuscito a raccontare il cantautore genovese dall’interno. Merito di un’amicizia di vecchia data che si è tradotta in una serie di confidenze, in un racconto di De André che Romana ha trasformato in un volumetto, scritto sapientemente alternando considerazioni e ricostruzioni alle parole del musicista. Dall’infanzia in campagna nell’astigiano al tour di "Le nuvole", penultimo album della discografia di De André, scorrono tutti i momenti principali della sua storia, accanto ai quali particolare risalto è dato alle vicende musicali, sottolineando la grande libertà dell’uomo-De André, prima ancora che dell’artista. Insomma, in questi giorni di tristi notizie e commemorazioni, "Amico fragile" è un libro prezioso, capace di raccontarvi con parole scelte, la vicenda e il carattere del più inimitabile dei nostri cantautori. E così è come lo stesso De André si racconta, parlando all’inizio del libro di Genova: «Genova per me è (...) Lee Masters che già a scuola preferivo pericolosamente a Carducci; e Brassens e Brel cui devo se ho cominciato a fare questo mestiere che non è un mestiere, no davvero, semmai un modo di prendere, se devi lavorare, la strada che ti sembra più facile - per poi scoprire che gli ostacoli che credevi di avere scavalcato te li ritrovi tutti, due passi più avanti. E infine, come dicevo, Genova è anche il profumo e il sapore della sua cucina. Come quelli del pesto, che facciamo a Milano o in Gallura, io e Dori, mettendoci dentro tante noci perché non sappia di menta: come capita quando il pesto lo fai lontano da Genova. Perché solo il basilico di Genova ‘non ne sa’.

E che altro? A me pare che Genova abbia la faccia di tutti i poveri diavoli che ho conosciuto nei suoi caruggi, gli esclusi che avrei ritrovato in Sardegna ma che ho conosciuto la prima volta nelle riserve della città vecchia, le ‘graziose’ di via del Campo e i balordi che potrebbero anche dar via la loro madre, per mangiare. I fiori che sbocciano dal letame. I senzadio per i quali chissà che Dio non abbia un piccolo ghetto ben protetto, nel suo paradiso, sempre pronto ad accoglierli».

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