Beha, Oliviero/Mogol - L''ITALIA NON CANTA PIÙ - la recensione
Recensione del 26 ott 1998
Da due 'teste matte' - lo si legga con affetto - come Olivero Beha (ricordate? Fu lui a tirare fuori la storia del pareggio combinato tra Italia e Camerun ai Mondiali '82, di fronte ad un paese che non ne voleva sapere di starlo ad ascoltare) e Mogol (uno dei pochi che abbia espresso compiutamente la propria personalità senza tenersi dentro niente, nei mille corsi e ricorsi della musica leggera italiana, passando spesso per impopolare) ci si può aspettare un libro magari di parte sulla musica italiana, ma comunque interessante. Quando si dice di parte, ci si riferisce a una certa 'demonizzazione' del cantautorato che Mogol opera nella lunga conversazione che costituisce il succo di questo libro, uscito nel 1997, ma decisamente attuale stante il perdurare dello stato di incertezza della nostra canzonetta. Dice dunque Mogol: se non si scrivono più belle canzoni la colpa è stata dei cantautori, che con il loro far prevalere le parole sulla musica, hanno impoverito la tecnica. Vero, in generale, ma forse non in modo così drastico, visto che artisti come Pino Daniele, Vasco Rossi, Paolo Conte, Franco Battiato, Lucio Dalla, Edoardo Bennato, a tutti gli effetti dei cantautori, hanno scritto melodie e canzoni di grande bellezza. Lo stesso Mogol qualcosa cede sul campo, cioè tra le pagine del libro, ma la sua disamina - guidata opportunamente da Beha - sembra più convincente quando cerca di analizzare i fattori di crisi culturale che hanno portato all'abbassamento del livello della canzone. Imperdibili sono le parti in cui Mogol parla di arte, e del rapporto che lega l'artista alla sua creazione: è lì che continuiamo a riconoscerlo come il più incontaminato degli autori, nonostante la lunga carriera alle spalle. Forse però, tornando al discorso principale sulla fine di una certa canzone, andrebbe tenuto anche conto di un modo diverso di fare musica in Italia che, pur senza prescindere dalle melodie, sta provando ad allontanarsi definitivamente dal cliché sanremese tanto caro anche a Mogol: lo dimostrano con i loro dischi i vari Grignani, Consoli, Silvestri, Bersani, Capossela. Del resto, raramente la capacità di comporre melodie era legata a particolari situazioni di fermento sociale: e questo, uno come Mogol, che ha frequentato Battisti per anni, dovrebbe ricordarlo bene.