Si legge spesso (e ne ho scritto spesso anch'io) di quanto sia complicato essere figli d'arte, nel mondo della musica e più in generale in quello dello spettacolo. Non è semplice nemmeno il ruolo dei "fratelli d'arte", che nella musica sono piuttosto frequenti, all'estero (a partire da Brian, Dennis e Carl Wilson dei Beach Boys e Ray e Dave Davies dei Kinks, passando attraverso Malcolm e Angus Young degli AC/DC, Noel e Liam Gallagher degli Oasis, Justin e Dan Hawkins dei Darkness, fino a Josh, Jake e Sam Kiszka dei Greta Van Fleet) ma anche in Italia (Mia Martini e Loredana Berté, i tre fratelli Bennato Edoardo, Eugenio e Giorgio in arte Zito, Alessandro "J-Ax" e Luca "Grido" Aleotti, Fabrizio "Fabri Fibra" e Francesco "Nesli" Tarducci, Francesco e Luigi "Grechi" De Gregori). Collaborazoni e litigi, partnership e separazioni (Paola e Chiara Iezzi), solidarietà e rivalità; il rapporto di parentela è comunque una realtà che condiziona, nel bene o nel male, la vita di due persone che scelgono la stessa strada di espressione artistica.
Ecco: leggendo il libro di Marco Ligabue, mi pare di aver capito che il suo rapporto con in fratello Luciano è fra quelli (pochi) risolti ed equilibrati. Fin dall'ammiccante titolo, Marco mette in chiaro le cose: con la consapevolezza di essere meno noto di Luciano, ma anche quella di rappresentare, in qualche maniera, un tramite fra lui e il resto del mondo, e di interpretare questo ruolo con serenità e con soddisfazione.
Oggi cinquantunenne, Marco - che in sostanza si è inventato uno dei fan club più frequentati d'Italia, il Bar Mario di Luciano, e che all'inizio ha gestito anche il merchandising del fratello maggiore - ha cominciato a fare musica con una chitarra regalatagli da Luciano e acquistata al negozio Roxy Hall di Reggio Emilia, e poi ha proseguito, prima con il gruppo rockabilly Little Taver and his Crazy Alligators, poi con i Rio e ora da solista.
La sua da musicista è stata davvero "una vita da mediano", nel senso che non lo ha mai fatto diventare davvero famoso; ma si è sempre sviluppata fieramente in autonomia, senza viaggiare a rimorchio di quella del fratello, del quale rivendica di essere il primo fan. La racconta in queste pagine con orgoglio e con modestia, con un linguaggio colloquiale e senza ambizioni letterarie, con abbondanza di aneddoti e qualche sprazzo di commozione (quando scrive del padre e della figlia Viola). E il libro si legge volentieri e con piacere.
Franco Zanetti