C'è tutto quello che ci deve essere. Una ventina di tracce, in linea con la media. Lo zampino di produttori del circuito rap, trap e r&b americano, da Al Shux a Kurtis McKenzie, passando per Aaron Bow e Rogét Chahayed: gente che ha lavorato con Jay-Z, Alicia Keys, Snoop Dogg, Nas, Drake, Khalid, Travis Scott, Post Malone, i Migos. E poi i duetti con l'onnipresente The Weeknd, Ariana Grande, SZA, Young Thug. "Planet her" di Doja Cat è un disco semplicemente perfetto, per il genere: quarantaquattro minuti di musica tra coretti, urletti sexy, vocalizzi sensuali, ammiccamenti vari, con suoni che guardano a ciò che funziona oggi in cima alle classifiche mondiali e ritornelli perfetti per i video su TikTok (lì nel 2019 esplose la sua "Say so", con balletti e tutto il resto, utilizzata in 12,9 milioni di clip). E d'altronde come può essere, se non perfetto, un disco nato in un'incubatrice, come un prodotto di laboratorio, con l'aiuto delle migliori menti della scena?
In questi mesi la 25enne cantante losangelina ha generato alte aspettative tra i discografici, tra successi da classifica, premi, collaborazioni con Nicki Minaj, Gucci Mane, Lil Wayne, gli stessi The Weekend (con il quale ha inciso un remix della hit "In your eyes") e Ariana Grande (che l'ha voluta, insieme a Megan Thee Stallion, nella nuova versione del singolo "34+35"). Quella di Amala Ratna Zandile Dlamini, questo il vero nome della cantante, origini sudafricane e figlia d'arte (suo padre, Dumisani Dlamini, è un attore: nel '92 fu tra i protagonisti del film-musical "Sarafina"), è stata un'ascesa graduale, partita da SoundCloud nel 2013 con un pezzo che conquistò l'attenzione di Dr. Luke, all'epoca già sotto l'attacco dei fan di Kesha, che un anno dopo lo avrebbe trascinato in tribunale accusandolo di molestie sessuali e psicologiche (è ancora oggi suo discografico e lo scorso anno alcuni fan di Doja Cat si rifiutarono di ascoltare le sue canzoni, per solidarietà nei confronti di Kesha). All'epoca Doja Cat aveva appena 17 anni. I primi singoli di successo, da "So high" a "Mooo!", poi nel 2018 l'album d'esordio "Amala", seguito l'anno successivo da "Hot pink", successo sulle piattaforme di streaming grazie alle hit "Juicy" (226 milioni di visualizzazioni su YouTube - e chissà se sono per la canzone o per le forme che la cantante e le ballerine mostrano nel video) e "Say so" (792 milioni di ascolti su Spotify).
Ora l'etichetta di nuova sensazione r&b le sta stretta: vuole diventare regina. In "Planet her", con una copertina realizzata nientemeno che da David LaChapelle, celebra il mondo femminile e lo fa con una ventina di canzoni - 14 nell'edizione standard, 19 nell'edizione deluxe, quest'ultima pubblicata sulle piattaforme già due giorni dopo l'uscita della prima - che insieme compongono un concept sulle difficoltà che una donna può incontrare nella sua scalata al successo. Da "Woman" (l'inno femminista che apre il disco, nelle intenzioni un pezzo afrobeat, nella pratica un reggaeton ignorantone) alla hit "Kiss me more" con SZA (che è attualmente in cima alle classifiche mondiali e che omaggia "Physical" di Olivia Newton-John - tra i crediti sono citati anche gli autori del successo degli Anni '80, Steve Kipner e Terry Shaddick), passando per "Naked", "You right", "Ain't shit" e "Alone", nei testi Doja Cat canta l'orgoglio femminile e la forza delle donne.
Pazienza se a volte finisce per somigliare troppo a Nicki Minaj o a Rihanna (citata anche nel testo di "Woman", come esempio di una donna che ce l'ha fatta: "I mean I could be the leader, head of all the states / I could smile and jiggle it 'til this pockets empty / I could be the CEO, just look at Robyn Fenty / And I'ma be there for you 'cause you on my team, girl"). È a quel mondo che guarda, che emula, senza neanche sforzarsi di trovare un'identità tutta sua. Non ne ha bisogno: è per macinare milioni di stream sulle piattaforme che Doja Cat è stata progettata. E - state tranquilli - non deluderà.