Il pianeta delle scimmie di Martin Gore

Con "The Third Chimpanzee", la mente creativa dei Depeche Mode annulla i confini con il regno degli animali in un EP interamente strumentale. Umano, ma non del tutto.

Recensione del 28 gen 2021 a cura di Marco Di Milia

Voto 7.5/10

Probabilmente c’è qualcosa di ancestrale racchiuso nel sound di Martin Gore. Un lato selvaggio che l’animo creativo dei Depeche Mode ha assecondato in una potenza di pulsazioni e frequenze che a tratti sembra arrivare direttamente dal regno animale. Così, nel perdersi tra sussulti che non avevano più niente di umano, ha realizzato quanto di bestiale ci fosse in una traccia come “Howler”, “urlatrice”, al pari delle scimmie che popolano, tra cercopitechi, cappuccini, mandrilli e scimpanzé, tutto il suo nuovo ep.

Cinque anni dopo l’album strumentale MG, Gore torna in veste solista ispirandosi al saggio del biologo Jared Diamond “Il Terzo Scimpanzé. Ascesa e caduta del primate Homo Sapiens” per tracciare una connessione di istinto e ragione attraverso i cinque brani che compongono “The Third Chimpazee”. Un labirinto fitto di ipnotica elettronica che mescola la genetica del mondo degli uomini a quello dei primati, aprendosi in sequenze immaginifiche tutt’altro che fredde.  

Sintetizzatori e tensioni animalesche

Non c’è alcuna linea vocale in queste composizioni: “Ho risintetizzato alcune voci che sembravano quasi umane, ma non del tutto. Ecco perché ho deciso di intitolare il brano a una scimmia” ha spiegato Martin sul proprio sito web, presentando un lavoro composto essenzialmente di sintetizzatori, batterie digitali e tensioni animalesche. Se nella già citata “Howler”, l’atmosfera si presenta subito tagliente con i suoi battiti sinistri che non concedono aperture alla melodia, le successive “Mandrill” e “Capuchin” virano su traiettorie maggiormente dilatate, lasciando entrare al tempo stesso un paio di cupe suggestioni dal repertorio dei DM più dogmatici.

Il quadro infine si completa, prima di chiudersi con “Howler’s end” in un breve e quasi estatico ritorno alla corte delle scimmie urlatrici, con la più complessa “Vervet”. Otto minuti di cervellotici avvitamenti in cui la natura evocata si apre in una progressione tribale di ritmiche dispari insieme selvagge e meditative.

La terza scimma, tra evoluzione e involuzione

Ogni traccia richiama a suo modo l’animale associato. La terza scimmia non può che essere l’uomo, dal quale Gore prende le distanze finendo per perdere l’orientamento in mezzo a tante evoluzioni e involuzioni, al punto che anche lo stesso artwork del disco è opera di un primate. Il disegno di copertina è infatti frutto dell’estro artistico di Pockets Warhol, un cebo cappuccino famoso in tutto il mondo per un’abilità nel dipingere con tempere e pastelli che molti umani possono solo invidiargli.

Allontanandosi dalle forme tipiche della sua band di provenienza, Martin Gore in “The Third Chimpanzee” manipola una dimensione sonora vitale e palpitante attraverso gli artifici dell’elettronica. Le sue scimmie si compongono così di anima e corpo per rimestare quel brodo primordiale da cui tutto ha avuto origine.

Tracklist

01. Howler
02. Mandrill
03. Capuchin
04. Vervet
05. Howler’s End

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