Clinic - INTERNAL WRANGLER - la recensione
Recensione del 31 mag 2000
I Clinic sono un caso di felice confusione creativa. Che i quattro siano amanti del paradosso, si può notare già dalle immagini che li ritraggono in camice, mascherina (tutto normale fin qui, visto il nome che si sono scelti) e giacche che sembrano rubate ai Beatles di “Sgt. Pepper”. La conferma arriva da “Voodoo wop”, prima traccia di “Internal wrangler”: percussioni tribali a cui si appiccica una breve coda con onde del mare e brevi vocalizzi angelici. Il timore di essere incappati in adepti della new age viene però immediatamente fugato da “The return of Evil Bill”, rock’n’roll costruito su un riff di un accordo che non sarebbe spiaciuto ai Cramps, che sembrano essere i padri ispiratori anche della title-track. Solo che qui non ci sono gli stravolgimenti horror-erotici tanto cari a Lux Interior e Poison Ivy, ma c’è un’aria di sottile follia malaticcia. I Clinic rimescolano le carte del rock’n’roll in modo sorprendente, facendo tesoro degli insegnamenti di quanti hanno recuperato certi elementi stilistici del passato, senza rispettarne necessariamente l’aspetto formale (i già citati Cramps o Jon Spencer, ad esempio). A loro volta, la band inglese si sente libera di strapazzare tali modelli, inserendo spesso e volentieri la melodica come strumento guida, saltando dal country deforme di “C.Q.” ai toni placidi di “Earth angel” e “Goodnight Georgie”, fino al pum-pum da techno a bassa fedeltà di “2/4”. Il tutto senza suonare come un manipolo di sperimentatori intenti a incrociare il dna di forme musicali diverse: alla larga da intellettualismi, ascoltando “Internal wrangler” ci si diverte. Loro stessi non sembrano intenzionati a atteggiamenti particolarmente seriosi, a giudicare da scherzetti come “Hippy death suite” (uno strumentale di poco più di un minuto) o una tredicesima traccia vuota, prima dell’ultimo pezzo. John Peel li ha già inclusi da un pezzo nella lista dei suoi gruppi preferiti, e vale la pena di seguire i suoi consigli. D’altra parte, il dj più celebrato del rock inglese ci ha già visto giusto in molte altre occasioni.