Dopo il formidabile exploit di TEN e la conferma di VS, più semplici e irruenti, i Pearl Jam alzano il tiro con VITALOGY, il disco della svolta verso sonorità sempre rock ma di più ampio respiro. Una scelta logica per una band che ha sempre puntato a incarnare il perfetto classicismo rock degli anni ’90: quello, cioè, che sotto il profilo stilistico punta al miglior bilanciamento tra potenza, spigolosità e armonia, e che su un piano più generale si associa all’idea di aggregazione e impegno. Insomma, un gruppo capace di attrarre attorno a sè un pubblico quantomai eterogeneo in virtù di una universalità di formula e di messaggio che – illuminata com’è da rare doti di coerenza e carisma – non corre mai il rischio di cadute nel nazionalpopolare.
A tutto ciò rende giustizia questo quarto album dall’artwork enigmatico, che pur prendendo le distanze dalle atmosfere epiche degli esordi offre una splendida panoramica sui Pearl Jam della maturità, quelli che pur dimostrandosi eredi (mutatis mutandis) dei Led Zeppelin non hanno certo remore a dichiarare il loro amore per Neil Young: abili nel distendersi in intense performance dai toni quasi bucolici, sulle quali si allungano vellutate ombre filo-psichedeliche ("Who You Are", "Off He Goes", "Sometimes", "Smile"), così come nel lanciarsi in furibonde cavalcate punk/hard ("Hail, Hail", "Habit"), senza ovviamente trascurare quelle ballate passionali e avvolgenti ("Red Mosquito", "Around The Bend", "Present Tense" e la più energica "Mankind") che costituiscono uno dei loro punti di forza.
Lavoro magari non molto appariscente, NO CODE, e forse per questo meno venduto di altri del quintetto di Seattle, ma equilibrato ed eclettico come forse nessun altro tra quelli realizzati prima e dopo. E profondamente suggestivo con i suoi riferimenti folk, le sue esplosioni elettriche e le sue carezze acustiche, le chitarre ora fragorose ma più spesso limpide di Stone Gossard e Mike McCready, il canto ispiratissimo di Eddie Vedder e il senso di selvaggia libertà – nessun codice, appunto: quindi, nessuna barriera – che prorompe dai suoi solchi.
Il testo qui sopra riprodotto è tratto, per gentile concessione dell'editore e degli autori, dal volume "Rock: 1000 dischi fondamentali. Più 100 dischi di culto” , curato da Eddy Cilia e Federico Guglielmi (con Carlo Bordone e Giancarlo Turra) , edito da Giunti nel 2019. Il libro è acquistabile qui.